La frantumazione del Mediterraneo nel XXI secolo

Di Tonino Perna Fino agli ’70 del secolo scorso gli scambi economici che interessevano l’area euro-mediterranea rappresentavano circa un quarto del commercio globale.  Nei decenni successivi è iniziata la lunga decadenza economica e politica di quest’area sulla scena mondiale per arrivare ad oggi dove gli scambi del Mediterraneo rappresentano meno del 15 per cento del commercio mondiale.  Ancora negli anni ’70 la distribuzione del reddito e la gerarchia di potere nel bacino del Mediterraneo era articolata.  Sul piano economico c’era una distribuzione platicurtica del reddito , ovvero una piramide piatta, con al vertice la CEE, seguita da alcuni paesi sud-europei come Grecia, spagna e e Portogallo, ed a distanza ravvicinata, oltre Israele, la Libia, la Yugoslavia, la Turchia, la Siria, ecc.  Tra i paesi più poveri al fondo  della piramide c’erano il Marocco e la Tunisia.  Sul piano politico c’era un’ampia articolazione dove emergevano i paesi  che svolgevano un ruolo importante sulla scena internazionale : in primis la Yugoslavia,leader dei paesi non allineati, ma anche l’Algeria e la Libia (più vicine all’Urss) e la Turchia(nell’orbita della Nato). L’equilibrio tra i due blocchi si rispecchiava anche in questo bacino.   C’era in sostanza sul piano economico e politico  una distribuzione abbastanza equilibrata delle forze in campo. Questo scenario è cambiato radicalmente a partire dalla seconda metà degli anni ’80 con l’attacco degli Usa alla Libia, e soprattutto a partire dalla caduta del muro di Berlino.  Mentre il mondo festeggiava la fine della guerra fredda, nel Mediterraneo iniziava la frantumazione del mosaico politico e culturale che avevamo conosciuto.   Il cambiamento è iniziato con la guerra civile in Algeria ed è culminato con il colpo di Stato dei militari e della borghesia “socialista” algerina che nel 1990 ha annullato l’esito delle elezioni politiche che davano la vittoria del FIS. Da qual momento il partito islamico è entrato in clandestinità ed ha compiuto orrende stragi, sgozzando migliaia di algerini. La risposta dei militari è stata altrettanto crudele e spietata (si calcola in 100.000 i morti causati dalla guerra civile in Algeria).   Fatti i dovuti distinguo, è successo in Algeria quanto era successo in Italia: la nascita delle brigate rosse è stato il frutto del blocco politico e delle Stragi di Stato che mostravano il volto oscuro del potere che non avrebbe mai permesso all’opposizione di sinistra di andare al governo. Come sappiamo il colpo di Stato in Algeria è stato sostenuto dalla Francia, complice tutto l’Occidente, ed ha messo in ridicolo la nostra difesa della democrazia e delle libere elezioni.  Un golpe che si è ripetuto in Egitto due anni fa con caratteristiche molto simili che hanno fatto capire definitivamente al mondo arabo quale sia la nostra idea di democrazia : le elezioni politiche sono libere solo se vince chi diciamo noi!   Altrimenti è meglio un colpo di Stato. Due anni dopo iniziava la tragica guerra balcanica che è durata, con brevi intervalli, fino al 1999, con la guerra della Nato contro la Serbia, la secessione del Kosovo, e la fine della Yugoslavia.  Poi, come sappiamo, con l’attacco alle torri gemelle è iniziata la lunga guerra degli Usa e loro alleati contro il terrorismo e per l’esportazione della democrazia.  Ne hanno fatto le spese l’Afghanistan e l’Iraq, con la conseguenza che è aumentato l’odio verso l’occidente e son cresciuti i gruppi dell’estremismo islamico. Infine, per arrivare ai nostri giorni abbiamo l’attacco alla Libia per spodestare Gheddafi e mettere le mani sul petrolio libico e il sostegno alla destabilizzazione della Siria.   In breve, in tutta la sponda sud-est del Mediterraneo o c’è la guerra o ci sono regimi alleati alla Nato ed all’Occidente, con la sola eccezione della Tunisia. Ma, non è stata solo la destabilizzazione militare un ruolo importante l’ha giocato la globalizzazione economica a senso unico che ha provocato un “cultural crash”, di cui il fondamentalismo islamico è una delle risposte, l’altra è stata ed è la fuga, l’emigrazione di massa, per diverse cause (economiche, cambiamenti climatici, conflitti, mancanza di prospettive,ecc.).  La globalizzazione   ha agito in questi paesi come il punteruolo rosso sta agendo sulle nostre palme. Anche questo insetto è uno dei prodotti indesiderati della globalizzazione.  E’ arrivato nel nostro ecosistema senza portare con sé gli altri insetti che lo contrastano nei paesi in cui è insediato. Così ha funzionato, sul piano culturale ed economico l’esportazione del nostro modello socio-economico e culturale.  Abbiamo esportato solo una parte, la peggiore, senza gli anticorpi che la nostra società aveva prodotto.  A questo grande impatto i paesi del Mediterraneo,e possiamo dire la gran parte dell’Africa, non ha retto. Il Mediterraneo che conoscevamo prima della caduta del muro di Berlino è scomparso, imploso, irriconoscibile.   Ma, anche l’Unione Europea che si stava costruendo durante la guerra fredda ha subito una profonda trasformazione.  In venticinque anni si è allargata, includendo molti paesi dell’est europeo, ed allo stesso tempo si è chiusa in sé stessa, si è costruita una gabbia d’acciaio con le sue mani che rischia di soffocarla.  Il suo più grande errore strategico è stato quello di impedire alla Turchia di entrare nella Comunità europea. Avrebbe costituito un ponte concreto verso il mondo islamico e non avrebbe subito la deriva islamista di Erdogan, che non a caso è stato eletto come risposta al diniego europeo. Sul piano della scena politica internazionale l’Ue conta meno oggi di quando c’era la CEE con soli sei paesi membri.   La sua subalternità alle politiche militari della Nato ed alle strategie Usa sono inspiegabili : con la caduta del muro di Berlino in tanti speravano che l’Unione Europea acquistasse una propria autonomia, potesse dotarsi di una politica estera e chiedesse lo scioglimento della Nato, visto che il nemico storico si era dissolto.  Invece, per come sono andate le cose  l’Ue si è trovata ad essere coinvolta in guerre con i << vicini di casa  >> (Iraq, Libia, Siria,Russia) da cui ha tutto da perdere, compresa la possibilità di allargare il suo mercato interno.  Ed è questo un punto cruciale in un mercato globalizzato.  Con i suoi 506 milioni di abitanti (al 2014) l’Ue ha difficoltà a competere con colossi come la Cina o l’India, che hanno ancora un enorme mercato da sviluppare, ed anche con gli Usa per via della subalternità finanziaria e politica.  Ha soprattutto bisogno di cooperare e convivere con i popoli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, da una parte, e con la Federazione Russa dall’altra. Ma, l’Ue si è chiusa in una gabbia con le sue stesse mani.   La sua economia è caduta in una stagnazione di lungo periodo (alla giapponese) e non sarà il Quantitive Easing a risvegliarla.   Ad est il confronto duro con la Russia, voluto dagli Usa e subito incoscientemente dalla Ue, impedisce l’integrazione economica con questa vasta area che ha risorse importanti per l’Europa.   Rispetto al Sud (l’Africa) ed alla sponda sud-est del Mediterraneo, come abbiamo visto, l’unica politica autonoma della Ue è quella della fortezza che cerca di contenere l’assalto.  Non siamo più interlocutori credibili ed interessanti per decine di paesi africani che, in mezzo a mille contraddizioni, stanno cercando una loro strada per uscire dalla miseria e finiscono spesso nelle mani delle grandi potenze, a cominciare dalla Cina, con le loro politiche predatorie (land grabbing), ma anche con i loro investimenti in infrastrutture. In breve, l’Ue ripiegata su se stessa, chiusa nella sua gabbia d’acciaio, sta soffocando.  Se non ci saranno cambiamenti radicali in direzione di una politica di vera cooperazione mediterranea, di impegno per la soluzione del conflitto israeliano-palestinese(con il riconoscimento dei sacrosanti diritti del popolo palestinese), di creazione di una vera Comunità Euro-mediterranea, non c’è futuro per la Ue.  Assisteremo ad un Lungo Declino, interrotto saltuariamente da miraggi di ripresa economica e politica, da segnali fumosi di protagonismo internazionale. Unica risposta politica è quella di rompere questa gabbia.  Lo fanno i flussi migratori che premono con tutta la loro forza per romperla e spesso ci rimettono la pelle. Ma, anche i movimenti politici più critici verso le politiche neoliberiste e autoreferenziali della Ue –come Podemos e Syriza- tentano una via d’uscita dalla crisi economica, giusta e sostenibile, ma non hanno elaborato una strategia politica per raccordarsi agli altri paesi del Mediterraneo.   La stessa solidarietà che era facile attendersi tra i paesi del sud-Europa, di fronte alla tracotanza della Germania, non solo non si è manifestata, ma è diventata addirittura ostilità –di Francia e Spagna- contro il tentativo della Grecia di Tsipras di uscire dalla spirale dell’austerità.   Ma, anche queste forze politiche che mirano ad un cambiamento radicale delle politiche europee non hanno messo al centro del loro programma una strategia politica per spostare l’asse che governa l’Ue verso sud.   Purtroppo, sappiamo bene che parlando di alleanze con i popoli del Mediterraneo, di apertura delle frontiere, di cooperazione mediterranea si perdono voti, e molti voti. Ciononostante, dobbiamo provare a sfondare questa gabbia da qualche parte. Una è sicuramente quella che prova a far passare una politica di accoglienza che si fondi sui corridoi umanitari.  L’altra è quella di una politica intelligente che sappia valorizzare l’apporto che possono dare i migranti in tanti settori, dalla cultura all’agricoltura, per esempio mettendo a cultura, sistemando i terreni abbandonati (il 30% nelle zone interne del Mezzogiorno) e quindi costruendo una riduzione del rischio idrogeologico.  Ancora sul piano dello scambio tra Università Mediterranee c’è molto da fare : va rilanciato l’Erasmus mediterraneo, come quello europeo a cui Bruxelles ha dimezzato i fondi negli ultimi anni.   Infine, nel settore agroalimentare, delle energie rinnovabili, del turismo, sono tante le occasioni per realizzare programmi comuni con vantaggi reciproci.   Ma, prima di ogni altra cosa, c’è il nostro impegno per la pace e il contrasto ai venti di guerra che continuano a soffiare nella direzione nord-sud, come è successo in Libia e Siria e sta per riaccadere, con la scusa della lotta all’Isis, che se non fosse nato bisognavo inventarlo.  Ed è proprio su questo fronte, quello religioso che spesso nasconde ben altri interessi e poteri, che le chiese cristiane potrebbero giocare un ruolo importante se ne comprendessero la portata  e si impegnassero in un cammino di collaborazione, andando oltre la retorica del dialogo, per costruire un lavoro comune per la pace.

MH
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