Frontiera in movimento, Europa immobile

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di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi Lampedusa, Agrigento (NEV), 13 maggio 2015 – Oggi, mercoledì 13 maggio, è stato presentato in Commissione Europea il Piano Junker sull’immigrazione. Il gran dibattito di questi giorni rimette al centro la questione dei migranti come se si fosse arrivati a una svolta decisiva sul piano internazionale. Prima di tutto, prosegue il tira e molla rispetto a come – e se – aumentare il salvataggio delle vite in mare. Sono mesi ormai che si parla di Mare Nostrum, Triton, Poseidon, Mare Sicuro. L’idea della bozza Junker sarebbe di implementare le risorse di salvataggio, ma per questo si fa riferimento a Triton, che dovrebbe quindi assomigliare sempre di più a Mare Nostrum. Primo elemento da chiarire, dato che il mandato principale dell’operazione di Frontex rimane il pattugliamento dei confini e, solo in un secondo momento, di salvataggio. Di fatto, secondo noi, questa decisione confermerebbe l’atteggiamento europeo di controllo delle frontiere, mantenendo un dispositivo di irrigidimento delle stesse e non una nuova alternativa. Intanto si legge di recuperi di migranti, o arresti, effettuati della Guardia Costiera libica, per riportarli in un territorio dove ormai è confermato che torture e stupri sono all’ordine del giorno, come appena denunciato da Amnesty International. Passiamo quindi ad un altro punto del piano Junker, quello che prevedrebbe “missioni di sicurezza e difesa contro trafficanti e scafisti”. In parole povere, come espresso dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini, si tratterebbe di un’operazione militare a tutti gli effetti per bombardare le imbarcazioni usate dai migranti per raggiungere l’Europa. Questo dovrebbe indebolire l’azione dei trafficanti – all’occorrenza schiavisti o scafisti identificati con tute bianche e tanto di scritta sulla schiena – e risolvere parte del problema. Salta all’occhio l’assurdità di tale proposta, anche se paragonata a un’operazione simile fatta contro i pirati in Somalia o contro le imbarcazioni che partivano dall’Albania. Sarebbe davvero possibile distinguere tra barche usate dai trafficanti e quelle, per esempio, dei pescatori? Inoltre, notiamo come ultimamente in mare vengano messi non i soliti barconi ma gommoni monotubolari, che richiedono facilità di costruzione e trasporto, potendo quindi partire velocemente da ogni spiaggia libica. Un’azione di distruzione delle imbarcazioni non ricadrebbe principalmente sui profughi, costretti a rimanere in un territorio che li sottopone alle peggiori violenze? E il lavoro dei trafficanti non troverebbe altre strade o prezzi sempre più alti per far fronte a una richiesta di fuga che comunque non si esaurisce? Infine, entrambi i “governi” in Libia si trovano assolutamente contrari a tale proposta, e bombardare in un territorio che vive nel caos istituzionale ma che comunque si oppone non sarebbe certo un buon segnale da parte di Unione Europea e ONU. Altro elemento della proposta Junker, quello più discusso negli ultimi giorni, sarebbe il ricollocamento dei richiedenti asilo nei 28 paesi dell’Unione. Non sono ben chiari nei numeri di cui si parla – 20 mila? – ne i criteri per la suddivisione nei Paesi, come potrebbero essere per esempio popolazione, Pil, disoccupazione, domande di asilo già accolte precedentemente. Questo punto sembra piacere soprattutto agli Stati di “confine” che subiscono i limiti del Regolamento di Dublino, che comunque sembra non essere messo in discussione dal piano, mentre già in parecchi dichiarano di non essere favorevoli ad accettare “forzatamente” altri profughi, prima tra tutti la Gran Bretagna. In questo clima risulta difficile leggere una vera aria di cambiamento. Continua l’atteggiamento di esternalizzazione delle frontiere e dei salvataggi, coinvolgendo nelle operazioni di ricerca e soccorso la Tunisia che prenderà profughi e finanziamenti dall’Europa, proposte militari più che politiche o umanitarie e un palleggio tra Stati che discutono di numeri e non di esseri umani. L’idea di canali umanitari che permettano vie legali per arrivare in Europa è sempre più lontana, come se il problema continuasse a nascere dalle coste libiche, e non già prima nei territori impoveriti, sfruttati, desertificati, paralizzati da guerre e persecuzioni. La proposta Junker dovrebbe anche prevedere altri punti, da presentare a fine maggio, che tengano in considerazione la collaborazione con Paesi Terzi ed eventuali allestimenti di campi profughi nei quali fare le prime selezioni per le domande di asilo. Una proposta è quella di un centro in Niger gestito da UNHCR e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) da aprire entro il 2015. La paura di costruire luoghi di questo tipo è, secondo noi, che si finisca per creare nuove grandi tendopoli dalle quali i profughi non riescano più ad andare via, come nel campo di Choucha nel sud della Tunisia, passando la vita in una zona liminale, non a casa e non al sicuro, al limite della sopravvivenza, dove si susseguono intere generazioni che non vedranno mai altro che abusi, miseria e baracche. Il dibattito di questi giorni fa credere che ci siano sul piatto nuove proposte risolutive, ma questa non è la nostra percezione. Vediamo un’Europa che cerca di spostare sempre di più il confine, creare luoghi lontani, dove non vedere un esodo epocale di cui è in gran parte responsabile. La questione non è evidentemente solo tecnica, giuridica, o economica ma si tratta di un grande interrogativo politico che fa sempre di più risaltare la separazione tra il Nord e il Sud del mondo, una divisione profonda, voluta e mantenuta con tutti i mezzi possibili e che si cerca di nascondere, distraendo l’opinione pubblica con numeri da emergenza, nemici costruiti e scelte militari presentate come inevitabili. E mentre a Lampedusa i ragazzi arrivati nei giorni scorsi camminano tranquillamente per il paese e dormono in un Centro sicuramente pieno ma non certo in una situazione di collasso, mentre nei telegiornali per parlare dell’isola si mandano immagini del 2011 andando incontro a denunce che si levano proprio da queste coste, mentre prosegue il timore per una stagione turistica condizionata dall’isteria mediatica, da qui seguiremo l’evolversi degli eventi. La frontiera in movimento verso il Sud di un’Europa incapace di modificare la sua politica di immigrazione e di riflettere sui nodi di fondo che determinano questo fenomeno, non lascia presagire niente di buono.

MH
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