Conoscere le frontiere

di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi Lampedusa, Agrigento (NEV), 23 settembre 2015 – Ieri è stato un giorno particolare a Lampedusa. Mentre in tutto il resto del mondo la vita è continuata come sempre, qui si è fermato tutto. I negozi erano chiusi e le strade del paese vuote. Perché ieri a Lampedusa era un giorno di festa: è stata celebrata, come ogni 22 settembre, la Madonna di Porto Salvo. Sfilando per le vie del paese e del porto la Madonna era accompagnata da una sola voce e grande silenzio. Poi la banda tra le vie e a mezzanotte fuochi d’artificio sopra questo piccolo scoglio nel cuore del Mediterraneo. Un paese gioioso e in festa, in questo settembre estivo che vede ancora molti turisti.

E in una giornata così, ancora di più ci viene da pensare a quanti sono in attesa di conoscere il loro destino nel Centro di accoglienza di Lampedusa. Venerdì mattina sono arrivate al Molo Favaloro 255 persone sub sahariane. In un mattina dal caldo infernale. Volti stanchi e stremati. E poi sabato sera un arrivo di 114 persone, 99 donne e 15 bambini, quasi tutti eritrei. Loro molto più sorridenti e pieni di speranza. Nel frattempo il Centro di primo soccorso e accoglienza si è trasformato in hotspot. Non una trasformazione visibile, ma un cambiamento nelle sue pratiche. Su insistenza dell’Unione Europea ora si dovranno identificare e registrare con rigorosità tutte le persone che arrivano, per permettere di avviare quel meccanismo di ridistribuzione di “quote” di migranti nei diversi paesi dell’Unione. Una scelta ampiamente dibattuta all’interno dei 28 paesi che solo ieri hanno approvato a maggioranza di ripartire 120.000 persone arrivate nei paesi a maggior pressione di flussi (principalmente Italia e Grecia). Maggioranza, non unanimità, con Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia che hanno votato contro. Un decisione quindi che non dimostra certamente un’Europa unita e solidale verso un esodo umano che supera quello conosciuto dopo la Seconda guerra mondiale. Si legge su Redattore sociale che a Lampedusa sono state fotosegnalate già 250 persone soprattutto eritree. E noi pensiamo subito a quelle belle donne sorridenti di sabato, sperando che possano trovare un futuro sicuro e non imposto per le loro esistenze. Ci preoccupa non sapere con precisione cosa avverrà in questi hotspot, se si rispetteranno i diritti umani di chi vi sosta, sperando che non siano nuovi CIE, Centri di identificazione ed espulsione. Nei giorni scorsi la notizia di 20 donne nigeriane rimpatriate ha scosso gran parte dell’opinione pubblica e di attivisti. Nonostante le donne dimostrassero segni evidenti di tortura e di essere vittime di tratta, e nonostante “per tutte era stata richiesta la sospensiva del provvedimento di espulsione”, le donne sono state accompagnate dal CIE di Ponte Galeria (Roma) a Fiumicino su un aereo verso un paese che non gli offrirà certamente sicurezza e protezione. Forse una dimostrazione che l’Italia è in grado di fare rimpatri come previsto dalle nuove decisioni europee? Noi vediamo i volti delle persone che passano la frontiera e cerchiamo di comprendere in che direzione vadano le scelte politiche di questa fortezza Europa e quale prezzo dovranno pagare le persone che cercano di attraversarla. E proprio di frontiere si parlerà in questi giorni a Lampedusa, durante la VII edizione dell’annuale evento organizzato dal collettivo Askavusa, il Lampedusa in Festival. Da oggi, 23 settembre, fino al 26 ci saranno dibattiti, proiezioni, concerti, spettacoli teatrali e mostre per affrontare diverse tematiche come la militarizzazione, il debito pubblico e le dinamiche che si sviluppano nei territori di frontiera. Luca, del collettivo Askavusa, ci racconta che parlare di frontiere nasce dall’esigenza di comprendere quello che accade a Lampedusa come “a Melilla, Calais, Ventimiglia, sul Brennero, in tutti quei punti dove le persone vengono fermate e private della libertà”. Ma non solo, l’obiettivo del Festival è anche quello “di sviluppare delle pratiche comuni che funzionino – prosegue Luca – per poi renderle disponibili a chiunque ne necessiti, prima di tutto i migranti che queste frontiere le attraversano”. Insomma giorni di riflessione a Lampedusa che lascino anche spazio alla creatività per costruire percorsi condivisi e una rete di scambio continuo che percorra tutta l’Europa.

MH
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