Il 3 ottobre del tempo di Amalek

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Paolo Naso, coordinatore del Progetto Mediterranean Hope della FCEI

Rubrica «Essere chiesa insieme»,a cura di Paolo Naso, andata in onda domenica 2 ottobre durante il «Culto evangelico», la trasmissione di Radiouno a cura della Fcei)

Nell’Antico Testamento leggiamo che il popolo d’Israele, finalmente liberato dall’oppressione in Egitto e incamminatosi verso la Terra promessa, fu attaccato da un re di nome Amalek. «Ricordati – leggiamo nel libro del Deuteronomio 25, 17-19 – di ciò che ti fece Amalek lungo il cammino, quando usciste dall’Egitto: egli ti attaccò, piombando su tutti i deboli che ti seguivano, quand’eri già stanco e sfinito, e non ebbe alcun timore di Dio». Una storia triste che oggi, però, possiamo rileggere pensando ad altre persone che scappano dalla violenza di moderni faraoni alla ricerca della loro terra promessa, e che appena raggiungono un approdo sicuro subiscono nuove sopraffazioni. Sono i migranti e i richiedenti asilo che vengono respinti alle frontiere, come accade al confine tra l’Italia e la Svizzera o la Francia; o concentrati in campi sovraffollati e disumani, come accade a Calais; o guardati con paura e disprezzo da chi percepisce l’immigrazione come una minaccia alla propria sicurezza. Amalek esiste ancora oggi: sono persone, ma anche apparati, leggi, regolamenti che menano altri colpi a donne e uomini già duramente provati e stremati. Dalla parte di Amalek o delle sue vittime: non si può stare in mezzo!

Il 3 ottobre ricorre il terzo anniversario di una strage nel mare di Lampedusa in cui morirono 368 migranti, e il Parlamento italiano ha deciso di dedicare una Giornata alle vittime dell’immigrazione. Vedremo film e documentari sulle morti in mare, ascolteremo parole di circostanza sull’esodo dal Nord Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa. Sentiremo anche inveire contro il buonismo di chi accoglie, e ascolteremo le solite voci dire: mandiamoli a casa!, oppure: aiutiamoli a casa loro! In mezzo a questo frastuono ci sono i migranti con le loro storie e le loro paure, con la memoria ancora viva delle case distrutte di Homs o di Aleppo; dei mesi trascorsi in Libia o in Egitto in attesa di un barcone; delle violenze subite da scafisti senza scrupoli e collusi con le centrali criminali; della misera permanenza in centri o baraccopoli di confine in attesa di capire quale sarà il proprio destino. E allora, l’unico modo per celebrare degnamente una giornata dedicata alla memoria delle vittime dell’immigrazione dovrebbe consistere nell’impegno a fermare questa tragedia con leggi e programmi che consentano viaggi sicuri e legali per chi fugge da guerre, persecuzioni, fame, violenze. È quello che le chiese evangeliche e la Comunità di Sant’Egidio stanno facendo grazie ai corridoi umanitari, realizzati nel quadro di un accordo con i Ministeri dell’Interno e degli Esteri. Per ora i corridoi sono solo una buona pratica, come si dice nel linguaggio della burocrazia europea, un esperimento pilota che riguarda soltanto mille persone. Ma sono una buona pratica che si può allargare a numeri più consistenti e duplicare in altri paesi dell’area Schengen. Basta volerlo.

Ricordando il 3 ottobre, è questo che gli evangelici italiani diranno a Lampedusa e a Scicli, dove la Federazione delle chiese evangeliche gestisce la “Casa delle culture”, un centro di accoglienza che ospita migranti minorenni non accompagnati. Lo faranno insieme ai rappresentanti delle chiese europee e degli Stati Uniti, sottoscrivendo una dichiarazione di impegno a sostegno dei corridoi umanitari. L’accoglienza è alla base del messaggio cristiano. La fede in Cristo è accoglienza nella nostra vita di una persona perseguitata e crocifissa. È la disponibilità nei confronti di chi bussa alla nostra porta e ha fame di cibo e di giustizia. Quanto ad Amalek e al male che ha fatto, la Bibbia dice una parola semplice e liquidatoria: dimenticalo, cancellane il ricordo. Il 3 ottobre non va celebrato rivolti al passato, ma guardando al futuro dei diritti umani, dell’accoglienza e dell’integrazione.

MH
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