Da Beirut a Lampedusa. Con gli occhi puntati alla speranza

di Simone Scotta, operatore di Mediterranean Hope – Corridoi umanitari

Roma (NEV), 26 luglio 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana rivolgiamo un doppio sguardo: su Beirut in Libano e su Lampedusa, alle porte dell’Africa. Due contesti, un punto di vista in comune nelle parole di chi in entrambi luoghi opera per la speranza.

Sto scrivendo non dalla rumorosa Beirut, ma da Lampedusa dove insieme agli amici e colleghi dell’Osservatorio sulle migrazioni collaboro con il servizio “internet point” che i migranti possono utilizzare per mettersi in contatto con parenti e amici. Da Lampedusa, dove accogliamo chi arriva dal mare al molo dell’isola. Mi trovo in una dimensione complementare e diversa rispetto a quella dei Humanitarian Corridors: nei 9 viaggi (a breve ci sarà il decimo) dal Libano, ho visto le partenze sicure di 848 persone; a Lampedusa gli arrivi incerti dopo lunghe traversate in mare.

Saltano immediatamente agli occhi le differenze tra uno “sbarco al molo” rispetto a un arrivo via aereo: il grande dispiegamento delle forze di polizia, le mascherine, i guanti di plastica – questa è l’accoglienza che attende chi arriva, soprattutto ragazzi africani. Oggi sono 136 persone, Sudan e Nigeria in testa. Vi sono due donne incinte, in buone condizioni fortunatamente, e due uomini che a precisa domanda rispondono di essere di Aleppo, Siria.

È facile pensare a come queste persone avrebbero potuto beneficiare di un passaggio sicuro e legale verso l’Italia, se avessimo avuto la fortuna di incontrarle in Libano, ma purtroppo così non è stato. Alcuni dei ragazzi arrivati sono felici, sorridono, ce l’hanno fatta, sono riusciti ad arrivare sani e salvi, dopo un viaggio lungo, difficile e costoso. Altri sembrano più scossi e meno disponibili a parlare, con impressi negli occhi gli itinerari nel deserto, le carceri, le botte e il mare.

Rispetto agli arrivi attraverso i Corridoi umanitari, la differenza è netta e stridente. All’aeroporto di Fiumicino si respira un clima di gioia dell’arrivo, ci sono abbracci, doni, giochi per bambini e, soprattutto, la possibilità di richiedere immediatamente la protezione internazionale. Le prospettive sono ben diverse dopo uno sbarco dal mare: un periodo di sospensione, breve o lungo non è dato sapere, li attende prima di poter, forse, ottenere un riconoscimento di protezione o un permesso di soggiorno.

La speranza si può costruire. Da qui emerge la necessità dei Corridoi umanitari e di canali di ingresso sicuri. Una necessità certamente non facile da recepire per molti, anche a livello dei governi, ma unica alternativa a guerre, ingiustizie economiche e mutamenti climatici, alla base delle migrazioni, parte quotidiana del nostro presente.

 

MH
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