Lampedusa è un’isola come tutte le altre. O forse no.

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto da Giovanni D’Ambrosio

Lampedusa (NEV), 24 marzo 2020 – Mi chiamo Giovanni, ho 25 anni. Mi sono laureato da pochi mesi in Antropologia culturale ed Etnologia a Torino, dove sono nato e cresciuto. Da alcuni anni mi occupo di tematiche legate alle migrazioni in Italia, Grecia e Libano. Per questo motivo, Lampedusa è stato un luogo a cui ho sempre guardato con curiosità e interesse… ed eccomi qui!

Lampedusa a febbraio inoltrato sembra iniziare a scrollarsi di dosso un inverno vissuto con una certa pesantezza. Almeno a quanto raccontano gli abitanti dell’isola. Le prime giornate di sole caldo sono salutate con affetto dai lampedusani, anche se nessuno ancora si azzarda a mettere i piedi in acqua, quello lo lasciano fare ai forestieri. «Se il mare non è bello caldo non ci penso neanche di fare il bagno», ho sentito dire spesso. E infatti la prima domenica a Lampedusa, il giorno seguente al mio arrivo, l’ho passata alla spiaggia di fronte all’Isola dei Conigli. Da allora è passato poco più di un mese, ed è difficile descrivere questa esperienza omettendo le difficoltà causate dall’epidemia di coronavirus. Per questo motivo, preferisco dividere la descrizione in due fasi. Un prima e un dopo.

Giovanni D’Ambrosio, volontario MH a Lampedusa

Le prime settimane sono state caratterizzate da una scoperta continua. Dei luoghi, delle persone e delle attività di Mediterranean Hope. Erano circa le 10 di sera della stessa domenica passata al mare, quando veniamo informati dell’arrivo al molo commerciale di una ventina di migranti provenienti dalla Libia. Nella confusione di non sapere cosa fare ho seguito gli altri volontari e operatori al molo e, da lontano, abbiamo osservato i primi passi in Italia delle quattro famiglie libiche che nei giorni successivi avremmo imparato a conoscere. C’erano diversi bambini tra di loro. Ricordo che appena scesi li ho sentiti piangere, poi li ho visti correre e ridere mentre aspettavano di essere portati al centro di accoglienza. Ricordo di aver pensato nell’arco di quella giornata che Lampedusa sembra proprio un’isola come tutte le altre, e che allo stesso tempo non è un’isola come tutte le altre. La settimana seguente abbiamo conosciuto alcune delle persone presenti nell’hotspot. Li abbiamo accolti, ascoltati, offerto informazioni, tè e biscotti. Abbiamo assistito alle chiamate con i parenti, le prime da quando erano arrivati, in cui avvisavano di avercela fatta. Abbiamo condiviso con molti di loro la felicità e la commozione prodotta da quel momento. Contemporaneamente proseguivo nell’esplorazione dell’isola, cercando di conoscerne i luoghi e gli abitanti. Abbiamo visitato il cimitero di Lampedusa e il santuario della Madonna di Porto Salvo, le cale nascoste dietro la pista dell’aeroporto e i “cimiteri delle barche” abbandonati in mezzo alla steppa lampedusana in attesa di smaltimento. In quest’opera di esplorazione dell’isola è stata fondamentale la partecipazione alle diverse attività in cui Mediterranean Hope offre il suo contributo: il doposcuola popolare, gli orti urbani, le camminate con il centro di salute mentale. In particolare, avendo studiato antropologia, è stato interessante notare certo shock culturale provato reciprocamente da me e dai bambini che frequentano il doposcuola. «Di dove sei?», mi chiedono. «Di Torino», rispondo io. Vedendo le loro espressioni interrogative mi spiego meglio, «Si trova a Nord, vicino alla Francia». Vedo i volti illuminarsi, «Ah! Ma quindi non è in Italia!».

Poi le restrizioni giustamente imposte per l’emergenza hanno chiuso prima le scuole, poi i ristoranti e i bar, e pian piano molte altre attività, tra cui anche le nostre. Proprie in quel periodo, le condizioni metereologiche favorevoli hanno consentito a tante persone di tentare la via del mare per raggiungere l’Europa. La notizia di un naufragio, diffusa da Alarm phone, al largo delle coste tunisine ha dato inizio a tre giorni di arrivi autonomi sull’isola. I primi ospiti del centro di accoglienza – 26 persone – sono stati messi in quarantena preventiva per 14 giorni. Gli altri sono stati trasferiti il giorno stesso in Sicilia, dove dovranno scontare comunque il periodo di quarantena. Durante la notte, intorno alle due del mattino, un’imbarcazione raggiunge Lampedusa. Vengono portati sul Molo Favarolo, dove di solito avvengono gli sbarchi, e lì lasciati fino alla sera del giorno dopo, prima di trasferire anche loro in Sicilia. Infatti l’hotspot rimane inagibile per permettere il periodo di quarantena a coloro già presenti all’interno, siccome non esiste possibilità di assicurare una divisione degli spazi. Purtroppo la situazione non ci permette di intervenire, di offrire un sostegno, per quanto minimo, alle persone in attesa sul molo. Li osserviamo da lontano – ancora si poteva uscire –, insieme a me ci sono alcuni signori che mormorano tra loro «Sembra il 2011». In quell’anno scoppia la rivoluzione in Tunisia, migliaia di persone arrivano a Lampedusa in pochi giorni. Centinaia di migliaia passeranno da Lampedusa per raggiungere il continente e l’Europa. In quei mesi sull’isola si consuma una crisi umanitaria senza precedenti, con centinaia di migranti costretti a dormire all’aperto. Alcuni trovavano un riparo sotto i camion in sosta al molo commerciale.

Ora che uscire non si può più, cerchiamo di monitorare comunque la situazione nel Mediterraneo centrale. Un mare oltretutto rimasto scoperto dalle navi della società civile che hanno deciso di interrompere le operazioni di salvataggio in cui erano impegnate. Come abbiamo potuto osservare nelle ultime settimane, non è la presenza o l’assenza di navi di soccorso a frenare o intensificare il flusso migratorio dalla Libia. Né l’attuale emergenza legata all’epidemia di coronavirus in Italia. Ma l’altezza delle onde del mare. La domanda che ci poniamo allora in questi giorni è: cosa succederà quando le condizioni meteo permetteranno nuovamente alle persone di tentare la traversata?

 

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