La memoria e l’impegno

Di Paolo Naso, politologo, coordinatore della Commissione Essere chiesa insieme della FCEI Il 3 ottobre sarà un anno dalla strage di Lampedusa nella quale, a pochi metri dalle coste dell’isola, morirono 366 profughi che fuggivano da violenze, persecuzioni e torture nei loro paesi dell’Africa centrale e settentrionale. Il 3 ottobre del 2014 sarà quindi il giorno del ricordo, quello della doverosa memoria di vittime colpevoli di niente altro che del disperato tentativo di cercare un rifugio per se stessi e, molto spesso, per il propri figli. All’indomani di quella strage, la cui responsabilità morale ricade su quanti con compiti e ruoli istituzionali in tutta Europa facevano finta di non vedere quanto accadeva nelle acque del Mediterraneo, fu un profluvio di solenni dichiarazione e impegni. In realtà l’unico vero dispositivo messo in atto da un governo europeo fu, come noto, l’operazione Mare Nostrum, grazie alla quale nei mesi in cui è stata operativa sono state salvate decine di migliaia di vite umane. Complessivamente, invece, non è stata all’altezza della sfida la reazione delle istituzioni europee e dei singoli stati membro che, con i fatti oltre che con le parole, hanno ripetutamente affermato che la questione Mediterraneo era, in buona sostanza, di esclusiva competenza italiana. Alla luce dei rivolgimenti del Nord Africa e del Medio Oriente, infatti, il tema delle migrazioni mediterranee e del luogo simbolo di Lampedusa sono questioni tutte europee. E’ vero, d’altra parte, che l’Italia sconta il fatto di avere per anni trascurato le politiche di accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo, lasciando che la grande parte di coloro che bussavano alla porta dell’Europa, perché perseguitati per ragioni politiche, religiose o di coscienza, trovassero accoglienza prevalentemente nei paesi del centro e del nord dell’Unione Europea. A un anno da quella tragedia per qualche ora sarà doveroso sospendere ogni giudizio e dedicare un pensiero alle vittime di quella strage. E questo è quanto accadrà nella cerimonia interreligiosa promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) il 2 ottobre, così come nella iniziativa ecumenica programmata per il giorno successivo. Saranno i momenti della memoria e del raccoglimento. Ma la commemorazione di quella strage, e idealmente di tutte le altre che l’hanno preceduta e seguita, avrà poco senso se ad essa non segue un impegno per una nuova politica delle immigrazioni mediterranee e soprattutto della tutela del diritto di asilo per quanti fuggono dagli stravolgimenti politici del Nord Africa e del Medio Oriente. In questi giorni circolano diverse proposte, molte delle quali convergono su un’idea guida fondamentale: è urgente aprire un canale umanitario che consenta ai richiedenti asilo un passaggio sicuro e protetto verso l’Europa o le altre loro destinazioni. Lasciare la gestione delle migrazioni mediterranee ai trafficanti di vite umane rischia di essere un atteggiamento complice, oltre che ipocrita. Occorre quindi una svolta nelle politiche europee che, in un quadro di solidarietà e di tutela di diritti umani fondamentali, garantiscano passaggi sicuri e protetti a coloro che richiedono una protezione per ragioni umanitarie. Una politica di questo genere richiede evidentemente una solidarietà europea che ancora non vediamo, e richiede uno sforzo dell’Italia e dei suoi partner dell’Unione per garantire adeguate politiche di tutela, accoglienza, integrazione. Ma un progetto così ambizioso e così denso di valori morali e civili per la stessa Europa che ha elaborato il concetto di diritti umani, richiede anche l’impegno di associazioni di volontariato, gruppi di base, comunità di fede. L’attenzione e la solidarietà nei confronti dei richiedenti asilo, soprattutto di fronte a numeri così consistenti, non può cominciare al momento in cui arrivano in Italia e in Europa ma deve estendersi anche ai porti dai quali essi si imbarcano. Occorre in altre parole una internazionalizzazione della solidarietà e della pratica di accoglienza, come da più parti si inizia ad affermare in ambito ecumenico e nell’elaborazione di alcune chiese europee. Il progetto Mediterranean Hope, avviato dalla FCEI nei mesi scorsi, ha sempre cercato di operare in questo quadro globale guardando al microcosmo di Lampedusa ma cercando di coinvolgere istituzioni e chiese dell’Europa e del resto del mondo. ll passo successivo potrebbe essere quello di un allargamento di uno sguardo a sud, costruendo reti solidali con associazioni e comunità di fede pronte ad impegnarsi nella protezione dei richiedenti asilo. E’ un capitolo nuovo, carico di rischi, eppure ci sembra di fondamentale importanza per dare corpo ad una svolta nelle politiche migratorie europee. Dopo il momento della memoria, già a Lampedusa seguirà quindi quello di un rinnovato impegno. (nev-notizie evangeliche, 40/2014)

MH
MH
X