Ora piu’ che mai ascoltate Lampedusa

Marta Bernardini e Francesco Piobbichi – NEV

Lampedusa, 16 febbraio 2015 – Già dai primi giorni di gennaio era evidente, per noi che viviamo ormai da mesi a Lampedusa, che la situazione degli arrivi sull’isola stava cambiando, ma la vera accelerazione sta avvenendo nell’ultima settimana. Lunedì scorso, 9 febbraio, la notizia della morte di 29 persone e molte altre disperse in mare è stato un altro tassello nel complesso mosaico che ormai caratterizza il nostro tempo.

Moltissime le persone che fuggono da guerre e persecuzioni, e che negli ultimi giorni partono con grande frequenza dalla Libia, nonostante le condizioni del mare siano a volte troppo rischiose. La fine di Mare Nostrum si vede, si vede sui volti stanchi dei migranti che arrivano sulle nostre coste stremati dal mare e dai salvataggi con le sole imbarcazioni della Guardia Costiera. Si vede sui volti di tutti coloro che si spendono nelle operazioni di soccorso, equipaggi della Capitaneria, medici e infermieri. Ore di navigazione in un mare che inghiotte vite, le imbarcazioni italiane le uniche a rispondere alle richieste di aiuto ed affrontare delle onde per alcuni mai viste. E Lampedusa, costretta dall’assenza della politica a caricarsi sulle proprie spalle le contraddizioni di interi continenti, rivive il dolore e la tragedia di persone che arrivano su quest’isola senza vita. Cala una coltre di lutto e rispetto, molto più di quanto i media possano raccontare. La comunità si stringe introno ad un’altra tragedia e sente il bisogno di esprimere vicinanza per quanto accaduto. Giovedì 12 febbraio è stata infatti organizzata una manifestazione per offrire “un fiore per i morti e un abbraccio per i vivi”, un corteo di cittadini e cittadine che ha portato davanti al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza la sua testimonianza di vicinanza, per ricordare quanti non ce l’hanno fatta ma soprattutto per dimostrare affetto e solidarietà per quanti sono arrivati salvi sull’isola. Il cancello del Centro è rimasto chiuso e non c’è stato modo di poter abbracciare quanti vi erano all’interno, muri e confini che ormai l’Europa sembra innalzare e inasprire sempre di più. Un’altra settimana inizia con numerosissimi arrivi, con la nuova paura dell’incombenza dell’Isis, paura forse più indotta che realmente percepita sull’isola. È evidente che qualcosa sta cambiando. Ci chiediamo il perché di tutte queste partenze ora, in pochi giorni e indipendentemente dalle condizioni del mare. Ci chiediamo se questi fenomeni siano il frutto delle scelte dei trafficanti di vite umane che cambiano strategia o se si inseriscano in dinamiche geopolitiche che preannunciano scenari che noi ancora non comprendiamo. Noi crediamo che questo tema non possa più essere affrontato solo dall’Italia e dall’Europa, ma debba ricevere un’attenzione globale. Globale deve essere la riflessione sulla situazione di centinaia di migliaia di persone, di profughi, rifugiati politici e richiedenti asilo che oggi si affidano alle onde del mare. Se globale è l’emergenza, globale deve essere la risposta. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe prendersi in carico questa riflessione ed iniziare ad attuare immediatamente delle possibili soluzioni, come un piano globale di protezione umanitaria nel quale ogni Stato faccia la sua parte. Abbiamo bisogno che chi ci governa discuta di questo, che è cosa ben più grande e complessa del dibattito su Mare Nostrum o Triton, o peggio, su un’ipotesi di intervento militare in Libia che non farebbe altro che aggiungere guerra alla guerra, come purtroppo abbiamo visto in questi decenni. *operatori di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle migrazioni a Lampedusa, un progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia

MH
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