Per i profughi occorre una risposta globale

di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi Lampedusa, Agrigento (NEV), 11 marzo 2015 – Seguendo le notizie degli ultimi giorni, a noi sembra che ci sia una novità all’interno della discussione sul tema delle migrazioni. Questo potrebbe dipendere dalla consapevolezza, che inizia a diffondersi nell’opinione pubblica, di trovarsi di fronte ad un fatto epocale le cui dimensioni possono essere affrontate solo all’interno di un’azione globale. In questa direzione vanno segnalate le dichiarazioni di Federica Mogherini al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che sembrano collocare la riflessione sulla questione migratoria in un quadro politico complessivo. Questa appare come una novità di cui prendere atto. Nel suo discorso, Mogherini ha sostenuto che affrontare la questione dei migranti che sbarcano a migliaia sulle coste dell’Unione Europea per fuggire a guerra, terrore e povertà, non è un compito che può riguardare soltanto l’Europa. (http://www.eunews.it/2015/03/09/mogherini-al-consiglio-di-sicurezza-onu-immigrazione-non-e-solo-responsabilita-europea/31573) In questa affermazione, espressa in un luogo come il Consiglio di sicurezza dell’ONU, si evidenziano due elementi. Il primo, quello che tutti conosciamo, è la difficoltà politica dell’Europa ad affrontare il fenomeno di centinaia di migliaia di profughi e richiedenti asilo che arrivano ai confini della “fortezza”. Il secondo, è che questo elemento costringe la classe politica ad accettare una sfida complessa dentro la quale entrano in gioco molte questioni, non semplicemente tecniche o regolamentari ma primariamente politiche. Proprio da Lampedusa, sulle cui spalle la politica ha caricato tutto il peso dell’accoglienza e delle sue contraddizioni, stiamo comprendendo come questo fenomeno necessiterebbe di essere affrontato diversamente da come è avvenuto fino ad oggi. Prima di tutto risulta necessario portarlo al di fuori del palcoscenico mediatico dell’invasione per assumerlo nella sua complessità. Il discorso dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE Mogherini sembra quindi spostare la questione su un terreno prettamente politico, sollevando una riflessione non solo sulle cause e le motivazioni che spingono le persone a partire, ma anche su quali prospettive abbiano per il loro futuro. Cambiamenti climatici, guerre e destabilizzazione di interi continenti, ruolo di istituti come il Fondo monetario internazionale, rapporti economici tra stati ricchi e poveri, sono fattori sociali oggettivi alla base del fenomeno migratorio che l’intero pianeta sta vivendo. Le decine di migliaia di persone che sono morte in mare, le altre che sono ammassate in campi profughi che crescono a dismisura in Africa e Medio Oriente, e tutte le altre che sono in movimento, determinano un fattore politico di primaria grandezza che ci obbliga a ricercare una cornice globale nel quale affrontarlo. Non sembra quindi un caso che Mogherini abbia detto al Consiglio di sicurezza dell’ONU che l’Europa da sola non possa sostenere questo fenomeno epocale. Dare atto a questa posizione non significa certo, per noi, giustificare un’Europa che deve comunque assumersi le sue responsabilità; riteniamo che proprio la vicenda libica faccia emergere l’importanza del diritto soggettivo di ogni essere umano di poter chiedere asilo in questo pianeta. Lavorare per una proposta che preveda la costruzione immediata di un piano globale per la protezione dei profughi che sono in Libia, nel quale ogni nazione che aderisce alla Carta dei diritti dell’ONU faccia la sua parte, accogliendoli attraverso uno dei più grandi corridoi umanitari che la storia abbia mai conosciuto, ci appare sempre di più una via necessaria. È indubbio che questa sia una proposta di enorme portata, ma è sempre più evidente che nei prossimi anni ci saranno milioni di persone a mettersi in cammino, spostandosi per lo più da un paese africano o medio orientale all’altro – la maggior parte dei profughi infatti, non arriva in Europa, ma si sposta nel paese vicino al proprio in attesa di poter far rientro un giorno nella propria terra. Estendendo la riflessione su un piano politico globale, anche le associazioni e i movimenti impegnati in questo ambito potrebbero iniziare a pensare a tale proposta. Si potrebbe cominciare chiedendo la convocazione di un Consiglio di sicurezza dell’ONU allargato a tutta la società civile.
MH
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