Verso una nuova fase migratoria? Qualche elemento di riflessione

Andrea Torre [1] – Centro Studi Medì

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1. Premessa Il tema dell’immigrazione in Italia nonostante riguardi un fenomeno che si sta sviluppando strutturalmente da oltre trent’anni è purtroppo costantemente trattato con un approccio emergenziale. Questo approccio costantemente utilizzato dai media nel corso dei decenni si è ulteriormente enfatizzato negli ultimi anni dopo che le “primavere arabe” hanno destabilizzato molti dei regimi che governavano gli Stati del fronte sud del Mediterraneo.

Queste tematiche si sono ulteriormente evidenziate con il perdurare e l’aggravarsi di due situazioni in particolare, la crisi Siriana e lo sbriciolamento dello stato libico dopo la deposizione di Gheddafi. Gli arrivi connessi con l’operazione “Mare Nostrum” attuata tra il 2013 e il 2014 hanno contribuito a creare ulteriormente un clima da invasione imminente. Sembra, a leggere i quotidiani, che l’Italia si stia trasformando in un paese di accoglienza di profughi mentre contestualmente, per via della crisi economica, stiano calando gli immigrati “economici”. Questo contributo prova, brevemente, a ragionare su questa tematica cercando, attraverso i numeri, di verificare se questo scenario sia veramente in atto.

  1. La popolazione straniera in Italia

Lo scenario migratorio che annualmente il Rapporto IDOS[2] delinea, ci restituisce una popolazione straniera compresa tra 4,4 e 5,2 milioni, con una stima aggiuntiva di circa 400.000 persone in condizione irregolare.  La composizione della cittadinanza straniera in Italia è in prevalenza europea, femminile, cristiana (ortodossa) con uno spostamento in atto delle provenienze dall’Europa dell’Est. Per circa 7 anni (tra il 2003 e il 2009) l’incremento della popolazione straniera si è sviluppato con un incremento del 12,7% annuo per 7 anni (431.000 unità in più all’anno). Come vedremo più avanti questa crescita è stata sfidata pesantemente dalla crisi economica, a partire dal 2009. Altro elemento importante è stata la crescita dell’immigrazione per ragioni familiari (+ 216% tra il 1998 e il 2008. Nel periodo 2001-2009 è triplicata la popolazione minorenne, passata da 295mila a 941mila. Attualmente la stima della popolazione minorenne è calcolata intorno al milione, molti dei quali nati in Italia. Sono altresì aumentati sensibilmente gli studenti stranieri, 786.000 (8,8% del totale). Come detto, questi dati di scenario mostrano un processo di stabilizzazione che nel corso degli ultimi cinque anni è stato parzialmente contrastato dalla crisi economica. Ciò ha portato ad una diminuzione degli ingressi per motivi di lavoro e anche per ricongiungimento, tanto da disegnare , secondo alcuni osservatori, scenari di vera e propria fuga dall’Italia. Come vedremo questi scenari sono molto lontani dalla realtà ma non v’è dubbio che un rallentamento – come è ovvio in virtù di una legislazione che lega gli ingressi al possesso di un lavoro – ci sia stato. Nel corso del 2013, per esempio, sempre secondo il Rapporto IDOS, si è registrata una diminuzione degli ingressi per motivi di lavoro e anche dei ricongiungimenti familiari. I visti di ingresso per lavoro subordinato avevano toccato la quota di 219.317[3] nel 2007 mentre sono stati soltanto 33.236 nel 2013. C’è da puntualizzare che questa diminuzione è anche dovuta alla sensibile riduzione prevista dagli ultimi Decreti Flussi che annualmente stabiliscono le quote di ingresso. Come detto sono anche diminuiti i visti per motivi familiari che avevano toccato quota 107.410[4] nel 2009 per arrivare ai 76.164 del 2013. A fronte di queste diminuzione dobbiamo segnalare altresì una crescita di altri indicatori “di stabilizzazione” come l’aumento dei matrimoni misti (20.764 nel 2013) e delle acquisizioni di cittadinanza (100.712), sensibilmente cresciute per motivi di residenza rispetto a quelle ottenute per matrimonio.

  1. Gli immigrati stanno lasciando l’Italia?

Questi dati, corroborati anche da una diminuzione che era stata evidenziata dai dati del censimento generale della popolazione del 2011,  hanno spinto molti commentatori a preconizzare una fuga degli stranieri dall’Italia. Se utilizziamo i dati OECD (dicembre 2014) troviamo una conferma di questo rallentamento perché il quadro rivela un rallentamento delle immigrazione generale nei paesi OECD, visto che le stesse sono in netta diminuzione tra il 2007 e il 2012 (-15%).  Tra l’altro sempre secondo OECD metà di questo calo è imputabile proprio all’Italia, dove il numero di nuovi immigrati permanenti è calato del 19% tra 2012 e 2011 (solo la Spagna ha registrato una flessione maggiore). Tuttavia se gli ingressi di cittadini stranieri si sono attenuati con la crisi, 321 mila nel 2012 (il 27,7% in meno rispetto al 2007) ed è in aumento il numero di stranieri che lasciano l’Italia, circa 38 mila cancellazioni nel 2012  (+17,9% rispetto all’anno precedente), il rapporto tra ingressi ed uscite è ancora in un rapporto di 9 a 1 a favore degli ingressi. Pertanto una prima considerazione ci può portare ad acquisire un calo ma non nei termini di una fuga. Entrano meno persone ma il processo di stabilizzazione procede.

  1. L’Italia sta diventando un paese di richiedenti asilo?

Contestualmente al calo dei migranti “economici” – peraltro una categoria non così facile da definire – sembrerebbe profilarsi per le cause accennate in premessa una grande pressione di migranti in arrivo con la teorica etichetta di richiedenti asilo. Come detto questa tematica è stata influenzata dalle crisi dei paesi del bacino sud del Mediterraneo in connessione con la posizione geografica e geo-politica dell’Italia. Che questa, però, sia una realtà è tutto da dimostrare, anzi i dati ci dicono cose diverse. Per cominciare da uno scenario più allargato dobbiamo rilevare che l’86% dei rifugiati è accolto in paesi del Terzo mondo.  Dieci anni fa era il 70%. L’UE  ne accoglie meno del 15%[5] Secondo stime più recenti riferite solo alla crisi siriana, sono stimati circa un milione di sfollati al confine con la Turchia e quasi un milione e mezzo nel Libano (paese di poco più di 4 milioni di abitanti). Venendo all’ Europa, nel 2013, sempre secondo l’UNHCR  si registravano  600.000 richiedenti asilo  in Turchia, 232.000 in Francia, 190.000 in Germania, 126.000 nel Regno Unito, 114.000 in Svezia; In Italia soli 78.000. In riferimento al numero di abitanti, la Svezia supera i 9 rifugiati ogni 1000 abitanti,  i Paesi Bassi intorno ai 4,5, la Francia 3, mentre l’Italia ne accoglie poco più di 1 Dei circa 170.000 sbarcati nel 2014, nel contesto dell’operazione “Mare Nostrum” ben maggiori dei  43.000 nel 2013,  solo una minoranza ha presentato domanda di asilo; si stima che più del 50% abbiano proseguito il loro cammino dall’Italia verso altri paesi europei. Insomma, nonostante l’operazione “Mare Nostrum”, la posizione geografica, le crisi in atto e le norme vigenti non pare proprio che l’Italia sia diventata un paese di richiedenti asilo.

  1. La narrazione degli sbarchi e le cause degli ingressi irregolari.

Quello che certamente in questi anni non è però cambiato è questa sorta di sindrome da invasione; scorrendo gli articoli dei quotidiani negli ultimi vent’anni registriamo una lunga teoria di articoli (tendenzialmente nel periodo estivo) sugli sbarchi di Lampedusa, sempre impostati con toni allarmistici e accompagnate analisi più o meno fondate. Insomma la sindrome degli sbarchi ci ha accompagnato per oltre un ventennio con una costanza invidiabile. Peccato che ciò avvenisse a prescindere dalla dimensione del fenomeno. Se analizziamo 18 anni di sbarchi[6] possiamo notare che i numeri significativi del 2014 non sono stati neanche avvicinati in altri anni; infatti l’altra punta si è avuta nel 2011 ma con numeri decisamente inferiori (62.692). Giova ricordare, inoltre, che i numeri del 2014 non si possono considerare tecnicamente degli sbarchi poiché si tratta di persone raccolte in mare ed accompagnate dalle navi della Marina verso dei porti prestabiliti. Venendo a questi dati, possiamo subito visualizzare che i dati relativi agli sbarchi di fine anni 90 siano da accostare ad un fenomeno storicamente concluso: le migrazioni dall’Albania. I flussi di migranti degli anni 2000 sono molto modesti e, tra l’altro, spesso sono minori del numero delle richieste di asilo evidenziate nella colonna accanto (tabella 1). Questo ci rivela come, per molto tempo, la maggior parte delle richieste di asilo non arrivassero dalle persone sbarcate a Lampedusa ma da coloro che arrivavano per altre vie (aeree o di terra); su questo torneremo tra breve.            Tabella n.1 – Diciotto anni di sbarchi 1997/2014

Anno Migranti sbarcati Richieste di asilo
1997 22.343 2.595
1998 38.134 18.496
1999 49.999 37.318
2001 20.143 21.575
2002 23.719 18.754
2003 14.331 15.274
2004 13.635 10.869
2006 22.016 10.026
2007 20.455 13.310
2008 36.951 31.723
2009 9.573 19.090
2010 4.406 12.121
2011 62.692 37.350
2012 13.267 17.352
2013 42.925 26.620
2014 170.100 64.886
Totale 614.445

Fonte: ISMU su dati Ministero dell’Interno Riepilogando sugli sbarchi, in diciotto anni – 1997/2014 – sono arrivate via mare  614.445 persone, di cui circa 120.000 si riferiscono ad un periodo storico concluso (i flussi d’Albania). Solo nel  2014  si sono concentrati 170.000 arrivi di cui, come detto,  circa il 50% non più presenti in Italia Qui possiamo fare una ulteriore considerazione. Mentre in tutti questi anni le luci estive si contravano con gran strepito su Lampedusa, la grande maggioranza degli irregolari e anche dei richiedenti asilo arrivavano regolarmente, soprattutto con visti turistici. Se compariamo il numero degli sbarchi con quello dei visti turistici, che, per dare un’idea delle diverse quantità, sono stati più di 6 milioni[7] solamente nel quinquennio 2009-2013, possiamo intuire quanto il potenziale sia stato diverso.  La dimensione degli ingressi è quindi più complessa dell’immagine “idraulica” che quotidianamente ci viene sciorinata. La composizione della popolazione straniera irregolare è composta solo in minima parte, pertanto, da persone entrate “clandestinamente” mentre è composta da cittadini che sono rimasti oltre la scadenza del visto turistico, da richiedenti asilo che hanno ricevuto il diniego, da stranieri residenti anche da molto tempo a cui è scaduto il permesso di soggiorno. Per lo stesso motivo anche le cause esterne che contribuiscono a questi ingressi sono variegate ed accanto alle gravi crisi umanitarie troviamo meccanismi più complessi ed articolati, quali:

  • La spinta del mercato del lavoro (tra cui le famiglie che occupano badanti e colf), gli interessi concorrenti (per es. turismo, viaggi d’affari, scambi culturali…).
  • L’abolizione di visti turistici da diversi paesi: dal 2010 è stato revocato l’obbligo del visto per gli ingressi da Brasile, Serbia e gli altri paesi balcanici, Albania compresa.
  • L’azione dei network degli immigrati (reti migratorie che orientano e facilitano gli ingressi).
  • Il vincolo liberale: convenzioni sui diritti umani, principio del non refoulement.
  • La lobby pro-immigrati e l’azione solidaristica sul territorio, che come sappiamo in Italia è significativa seppur con varie sfumature territoriali.

Insomma anche in questo caso la situazione mostra le sue complessità e sfaccettature; è però evidente che negli ultimi tempi il tema delle accoglienze sia diventato centrale nell’opinione pubblica. C’è da porsi un quesito, allora, che riguarda anche la minore tenuta di un approccio solidaristico. Non è che forse in un contesto di crisi economica il grande impatto sull’opinione pubblica  sia  enfatizzato anche e soprattutto dal tema dei costi di queste operazioni di soccorso ed accoglienza? “Quanto ci costa l’immigrazione? Tra sbarchi e centri almeno un miliardo l’anno. La macchina dell’accoglienza assorbe 600 milioni, poi ci sono i controlli[8] L’immigrazione costa alla finanza pubblica almeno un miliardo di euro l’anno. Una cifra approssimata per difetto ma con un alto tasso di variabilità e una prospettiva comunque al rialzo. La verità è che fronteggiare gli sbarchi, fare i controlli di polizia, dirottare nei centri di assistenza, accogliere e poi, magari, integrare i migranti, costa un sacco di soldi. Ma i soldi non bastano mai.(..)”  Questo, il titolo e l’incipit di un articolo pubblicato qualche tempo fa da Il Sole 24ore in cui il tema dei costi viene evidenziato. Anche in questo caso, però, non appare mai abbastanza articolato il tema della ricaduta sulle economie dei territori dove vengono attuate le accoglienze, in termini di posti di lavoro, acquisto di beni e servizi ecc.

  1. Lo scandalo è chi non arriva

Se le cifre ci parlano, quindi, di una dimensione degli arrivi via mare che non sta evidenziando un carattere preponderante nel contesto italiano, questo fatto non deve esimerci da evidenziare, comunque, il grave problema dei decessi nel Mediterraneo,  di quelle persone, cioè,  che non sono riuscite ad arrivare sulle nostre coste e che costituiscono comunque uno scandalo per l’inerzia Europea. Secondo l’UNHCR, nel 2014 sono 3.419 i migranti, uomini, donne e bambini che hanno perso la vita  mentre tentavano la traversata. Nel primo trimestre del 2015 altre 470 persone sono scomparse nel Mediterraneo durante i viaggi della speranza verso l’Europa. Questa tragica contabilità è fatta di stime poiché i numeri precisi sono impossibili da calcolare. Secondo alcune fonti  dal 2000 al 2013 sono morti più di 23 mila migranti[9] nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o attraversando i confini via terra del vecchio continente: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime ufficiali. Più o meno analoghe sono le stime fornite da Gabriele Del Grande su Fortress Europe, secondo cui dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 21.439 persone.[10] Insomma se quantitativamente in rapporto ai movimenti migratori i tentativi di ingresso via mare non sono maggioritari, il tema del rischio (e dei costi) sostenuti dai migranti sono certamente da tenere in grande considerazione.

  1. Qualche riflessione conclusiva

L’Italia è certamente un paese che negli ultimi trent’anni è stato mutato profondamente dalle migrazioni; nonostante la crisi economica, i numeri ci dicono che il processo di stabilizzazione prosegue e i numeri dei migranti regolari hanno una dimensione quantitativa non comparabile, con i numeri delle emergenze umanitarie. Purtroppo i media continuano ad utilizzare una chiave interpretativa emergenziale. Questo approccio, tra l’altro impedisce di concentrarsi su politiche di inclusione che favoriscano il pieno inserimento di chi in Italia risiede da anni e delle centinaia di migliaia di giovani stranieri che qui sono nati. Ovviamente le emergenze ci sono e si dovrebbe intervenire con una governante europea per fronteggiare il fenomeno. Inoltre è assolutamente prioritario tutelare la condizione dei più deboli sperimentando, per esempio, canali legali di ingresso che diventino più “convenienti” di quelli irregolari. Appare necessario, infine, adeguare le istituzioni, la comunicazione, le mentalità alla cosmopolitizzazione del mondo: queste dinamiche sono si fermano da sole ma vanno governate con preveggenza e coraggio. [1] Direttore del Centro Studi Medì. Migrazioni nel Mediterraneo (Genova), www.csmedi.com [2] Dossier Statistico Immigrazione, Rapporto UNAR 2014, Idos, Roma, 2014 [3] ISMU – Ministero Esteri [4] Ibidem [5] Dati UNHCR, Rapporto 2014 [6] Fonte ISMU su dati del ministero dell’interno. [7] idem [8] Il Sole 24 Ore, giovedì 19 febbraio 2015, Marco Ludovico [9] https://www.detective.io/detective/the-migrants-files/ [10] http://fortresseurope.blogspot.it/

MH
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