di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi
Lampedusa, Agrigento (NEV), 6 maggio 2015 – Potremmo partire dall’immagine che abbiamo visto il 2 maggio per raccontare Lampedusa in questi giorni. Bambini lampedusani che giocano a calcio con quelli del quartiere Zen di Palermo durante i mondiali antirazzisti, mentre passa il bus dei migranti che si dirige verso il Centro di primo soccorso e accoglienza. Pochi secondi in cui gli sguardi di tutti noi si fermano e incrociano quelli delle persone provenienti dal mare con le quali non possiamo parlare, e che ci salutano da dietro i finestrini.
Oppure potremmo raccontarla con le parole di “Picciotto Gsp”, bravissimo rapper palermitano che così descrive quanto successo sulla nave di linea il giorno dopo: “Di ritorno da Lampedusa, 250 immigrati in nave con noi controllati a vista dalle solite divise… Mali, Camerun, Nigeria, Guinea… sono giovani e paradossalmente contenti di assaporare centimetri di libertà seppur provvisoria. Uno di loro mi saluta e poggia la mano sul vetro dell’oblò, io faccio uguale, come si fa nei colloqui dietro al vetro in carcere. Ci guardiamo, mi si spacca lo stomaco… Khumani è minorenne e ha un sorriso che sa di vita, mi chiede di guardare le foto dal cellulare, ne vede una in cui canto, capisce che ho a che fare col rap e chiama subito degli amici, in un attimo siamo un centinaio, separati solo da un nastro di plastica. Improvvisiamo una jam, faccio il beatbox, poi lo fanno loro, mischiamo francese e maliano, siciliano e camerunense. Rappo ‘viaggi di sabbia’ e il plurimo ‘brucia’ del ritornello diventa un jingle a più voci cantato da tutti, anche dai ragazzi dello Zen in viaggio con noi che solidarizzano, si scambiano collane, bracciali ma soprattutto sorrisi e strette di mano. Rappiamo per mezz’ora e le divise non possono fermarci… chiudiamo con ‘el pueblo unido’. Siamo diventati un tutt’uno. Penso alla piena consapevolezza che ancora ci manca e al bisogno di umanità da salvaguardare… due binari paralleli ma che dopo tanta distanza sono destinati ad accarezzarsi… come il confine tra cielo e mare… RESTIAMO UMANI”.
L’immagine più bella che possiamo raccontarvi però è quella di vedere sbucare all’orizzonte, stupefatti, una piccola imbarcazione di persone arrivate dalla Tunisia accompagnate da alcuni delfini che entrano al porto e salutano Lampedusa, e noi che restiamo a bocca aperta. Sono queste piccole cose che ci danno l’energia necessaria per portare avanti il nostro lavoro in un’isola messa al fronte che sembra iniziare a prendere atto di essere diventata un simbolo di salvezza e liberazione.
Proprio in questi giorni, infatti, scopriamo insieme a Giacomo Sferlazzo del collettivo Askavusa che Lampedusa porta con sé un messaggio di liberazione dalla schiavitù conosciuto già in epoca antica. Non solo perché lo schiavo Anfossi, che liberatosi dalle catene turche su quest’isola inaugurò poi un santuario per la Madonna di Porto Salvo in Liguria, ma anche perché qualche centinaio di anni dopo, un altro santuario sempre dedicato alla Madonna di Lampedusa, fu fondato dagli schiavi liberi del Brasile che la riconobbero come loro protettrice. Immagini che ritornano nel presente, dalle madonne lignee, alle Bibbie e Vangeli, ai Corani e libri di preghiere che gli “schiavi moderni” che attraversano il mare lasciano sull’isola dove s’incontrano anche altre culture laiche e solidali. Ecco la potenza di questo scoglio in mezzo ad un mare che incrocia storie e popoli che si muovono da sempre, che vive l’ambivalenza di un luogo attraversato dall’umanità.
Ecco, questa è l’isola senza paura che vogliamo raccontarvi. Non leggerete in queste righe il peso delle cose che abbiamo visto in questi giorni, in questi mesi, dei bagagli carichi di dolore che portano con sé le persone venute dal mare. Non leggerete dei teatrini mediatici che raccontano l’isola che non c’è, perché abbiamo capito che l’emergenza non è qui, non è su queste coste bellissime circondate dal mare spinato costruito dall’Europa indifferente. L’emergenza infatti è davanti a noi ed è dietro di noi. È davanti a noi perché continuano le politiche di sfruttamento di interi continenti, perché continuano le guerre per gas e petrolio, perché chi nasce povero e disoccupato tale rimarrà per tutta la vita. Ma l’emergenza è anche dietro di noi, è l’emergenza di un’Europa spaventata e indifferente, che costringe quest’isola a farsi carico delle sue incapacità. L’Europa, con una strage in corso, discute se salvare o meno persone in mare, centellinando i suoi mezzi, evitando completamente il tema dei corridoi umanitari e pensando che arrestando gli scafisti – che altro non sono che migranti ai quali viene messo in mano il timone in cambio di uno sconto viaggio – si possa risolvere un movimento epocale che mai l’umanità ha conosciuto per durata e consistenza. In questi giorni abbiamo visto una Lampedusa che non ha paura, che chiede verità sui troppi radar presenti su questi 20 km quadrati di isola, che vuol riprendere in mano la sua identità di luogo che vive di pesca e di turismo.
Vogliamo farci carico di tutto questo, e vorremmo che lo faceste insieme a noi. Non abbandonare Lampedusa significa anche pensare di rilanciare forme di turismo solidale che rafforzino l’identità di questo scoglio, che da sempre rappresenta il simbolo della salvezza e della liberazione.