Odori, sapori e storie da Lampedusa

di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi*

La sede di Mediterranean Hope a Lampedusa è un via vai di persone. Il campanello sembra suonare sempre. Passano amici, visitatori, ricercatori di vario tipo, conoscenti che chiedono un consiglio o semplicemente di essere ascoltati. Poi certo, meno poeticamente passa da qui anche chi ti aggiusta il tetto, ma anche le sue storie non vanno dimenticate. Stasera il campanello suona ancora di più. Senti tante voci dagli accenti più diversi ma soprattutto il profumo che si spande per tutte le stanze dell’appartamento.

In cucina c’è chi, con un pentolone appoggiato sul pavimento, taglia le cipolle con mano svelta. Chi taglia la carne, prepara l’insalata o racconta della sua giornata. Stasera si mangia zighinì e tajine a Mediterranean Hope. Cibi tipici dell’Eritrea e del Marocco ma le nazionalità che si contano intorno alla tavola imbandita sono molte di più. La gioia semplice di condividere questo pasto dai mille odori e sapori sa di casa. Ognuno ci ritrova un pezzo della sua di casa, lontana o vicina. E prima di essere arrivati ai dolci, in questo caso tutti tipicamente siciliani, qualcuno intona canti dalle proprie terre. Una serata ricca, in cui cerchiamo di lasciarci alle spalle le fatiche di quest’isola. Perché a Lampedusa passa il mondo intero, e qui si intrecciano storie. Storie di salvezza, di speranza, ma anche di sconfitte e di ricordi dolorosi. Tra le tante storie che sono passate da qui in questi mesi, alcune rimarranno vivide nella nostra mente. Come Mamadou** che arrivò in Italia “per trovare il suo futuro, il futuro dei suoi figli, per cambiare tutta la sua vita”. Lasciò il suo paese dopo aver lavorato, per 28 anni, in mare come pescatore, in città come muratore e poi come aiuto meccanico e agricoltore. Le condizioni di lavoro erano spesso estreme, degradanti ed insalubri. Preparare i composti che andranno a fertilizzare i terreni senza le giuste precauzioni, senza guanti, mascherina e occhiali era un cosa normale e gli effetti sulla salute si iniziavano a vedere. Così Mamadou sognava l’Europa, sognava: “di un posto dove i diritti umani erano rispettati, dove ricevevi un salario dopo aver lavorato e che ti garantiva una pensione quando raggiungevi la vecchiaia”. Dopo aver tanto sognato un futuro migliore decise così di non aspettare più e di iniziare a lottare perché quel sogno si potesse realizzare. Il suo viaggio era ancora agli inizi, tante erano le difficoltà che Mamadou aveva già superato e tante quelle ancora ad attenderlo. Ogni storia è diversa da un’altra e non tutti hanno alle spalle un passato pieno di difficoltà, Ousmane, un altro ragazzo con cui abbiamo avuto la fortuna di parlare, ci ha raccontato che lui di opportunità nella vita ne aveva avute. Suo padre lavorava nell’esercito e lui aveva avuto la possibilità di andare all’università e studiare gestione aziendale. Dopo aver lavorato in un primo periodo nella ristorazione, decise di aprire una sua attività. Chiese un prestito tramite un programma finanziato dall’Unione Europea che supportava le economiche locali e dopo aver sconfitto la concorrenza di altre 63 persone che avevano presentato domanda, ricevette i soldi per avviare la sua attività. Finalmente il suo sogno sembrava realizzarsi, ma dopo un primo periodo in cui tutto andò bene, un giorno arrivò un’ispezione mandata dal governatorato del paese e senza troppe spiegazioni gli intimarono di chiudere l’attività. Ousmane era rimasto così senza niente. Quando lo incontrammo, con rammarico affermò: “non tornerò mai più nel mio paese. In Europa se avessi avuto la stessa idea qualcuno mi avrebbe sostenuto e forse sarei riuscito anche a portarla a buon fine. Nel mio paese non era possibile lavorare in regola, e senza lavorare cosa altro avrei potuto fare, chiedere l’elemosina?”. Ousmane decise quindi di venire in Europa perché immaginava che “il vecchio continente era un posto ideale, dove se trovi lavoro puoi avere bambini, avere una casa e le leggi sono rispettate”. Arrivato qui a Lampedusa però alcune domande iniziarono a confondergli i pensieri: “se l’Europa si rifletteva nel centro che lo ospitava, quale sarebbe stato il suo futuro? Persone che hanno appena visto la morte in faccia, rischiando la vita in mare, possono essere ospitate in un centro dove non hai ne coperte ne docce pulite?”. E intanto, lontano dalle storie di queste persone costrette a mettersi in cammino, l’Europa continua a riunirsi e a decidere sul futuro di migliaia di persone. Dopo le conclusioni raggiunte dal Consiglio europeo dello scorso 15 ottobre, l’Unione Europea si appresta a partecipare al vertice internazionale sulla migrazione dell’11 e 12 novembre a Malta. Al vertice deciso lo scorso 23 aprile durante una riunione straordinaria del Consiglio europeo, dovrebbe essere prevista la partecipazione dei capi di Stato e di governo di numerosi Paesi Africani, i leader dell’Unione europea e dei paesi maggiormente interessati dai flussi migratori, in particolare quelli già coinvolti nei processi di Rabat e Khartoum. Molti i temi all’ordine del giorno del summit, tra cui una più stretta collaborazione per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione. Non troppo lontani da Malta, qui a Lampedusa, ci chiediamo quale sia la portata delle prossime misure che verranno adottate dall’Europa, quanto e in che modo queste ci coinvolgeranno.

* Con la collaborazione di Alice Fagotti e Alberto Mallardo
** I nomi riportati nell’articolo sono di fantasia

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