Lo strano sciopero di Mhoammed

Per protestare contro la corruzione rispetto alle concessioni della pesca, il tunisino Mohammed e la sua famiglia hanno preso la via del mare Mediterraneo. La protesta è andata però troppo lontano, ed è finita nelle acque internazionali. Così il gruppo è stato soccorso dalla Guardia di Finanza italiana. La storia di un uomo che non è venuto a Lampedusa come turista o profugo ma per una protesta che è andata troppo lontana dovrebbe essere stata inconsueta per la Guardia di Finanza italiana, che ha soccorso questa grande famiglia di 19 persone su due piccole navi, con una signora anziana tra loro in carrozzella. “Abbiamo protestato contro l’amministrazione locale per 60 giorni – racconta Mohammed. Il pescatore di 41 anni viene dalla piccola città costiera di Chebba della Tunisia – allora abbiamo messo la nostra famiglia sulle nave e detto ‘ andiamo in mare e ci restiano fino alla morte se non trovate una soluzione!'” Così 19 persone sono salite sulle navi, 6 uomini 8 donne e 5 bambini, mentre le altre poche donne della famiglia restavano sulla terra ferma per custodire le abitazioni della famiglia. Le imbarcazioni si sono allontanate mentre la costa diventava sempre più piccola, ed all’improvviso è apparsa la nave della Guardia di Finanza che ha soccorsi le navi scortandole fino al porto di Lampedusa che si trova a 139 km da Chebba. I pescatori cercavano visibilità mediatica per la loro protesta usando il palcoscenico di Lampedusa famosa nel mondo per la questione dei migranti ? “No – dice Mohammed – noi volevamo solo rendere visibile la nostra protesta alle istituzioni tunisine “. Le auturità tunisine secondo quanto dice Mohammed hanno impedito alla sua famiglia di di vivere del proprio lavoro. “La nostra vita è peggiorata, come possiamo sopravvivere?” denuncia il pescatore tunisino, che insieme alla sua famiglia pesca con il vecchio sistema della Charfia ( “casa della morte “). Una forma tradizionale della pesca costiera in cui i pesci vengono presi in nasse fatte da foglie di palma, dove viene bloccata la via d’uscita. Questa pesca tradizionale non è più diffusa, sta venendo sostituita con metodi più moderni di pesca, favoriti dalla diminuzione del pesce nel mare e dal fatto che i piccoli pescatori non reggono la concorrenza dei grandi i cartelli. Mohammed denuncia che esiste un cartello potente anche nella sua zona di mare “Altri pescatori da 5 anni comprano attraverso la corruzione le zone più pescose. Loro raccontano ovunque che hanno pagato 15 mila dinari ( quasi 7000 euro ) a membri corrotti dell’amministrazione per escluderci dalla nostra fetta di mare” dice il pescatore arrabbiato, che però non ha le prove di quanto dice. I cartelli pagherebbero ad altri pescatori poveri le quote per avere in mano le zone di pesca più fruttuose. Si tratta di una sorta di latifondo che sta mettendo in difficoltà le piccole produzioni. Per partecipare all’asta annuale occorre iscriversi su di una lista, per la famiglia di Mohammed era iscritto un nipote, che purtroppo è morto improvvisamente 5 mesi fa a soli 38 anni. Sua moglie allora si era iscritta all’asta al suo posto, ma appena inserito il nome sono iniziati i problemi, l’asta veniva cancellata dopo un breve termine e ne veniva annuncita una nuova nella quale la vedova veniva esclusa dalla lista dei partecipanti. La causa ufficiale dell’esclusione della donna, era dovuta al fatto di essere considerata inesperta rispetto alla pesca. Il Cognato della donna ci dice “è vero che le donne non hanno esperienza, loro non salgono sulle navi e restano a casa, siamo ancora arretrati” in realtà in Tunisia la legge che tutela le donne sul lavoro è fra le più avanzate nel mondo arabo ma di fatto non viene sempre applicata. Dal loro punto di vista però Mohammed e la sua famiglia rivendicano un diritto tramandato per tradizione per un loro pezzo di mare, questa consuetudine viene confermata dall’amministrazione locale e da un’associazione che si occupa di diritti umani. “In realtà siamo noi uomini che abbiamo l’esperienza e la conoscenza del mare” dice Mohammed. A Lampedusa all’inizio non si è capito come affrontare la vicenda visto che queste persone non sono turisti o profughi. Il Comune ha messo a disposizione un alloggio per la famiglia di Mohammed in un edificio dell’Associazione di Pescatori dopo aver alloggiato in un albergo. In Tunisia, nel frattempo si è occupata della loro vicenda la potente organizzazione UGTT annunciando per oggi una manifestazione a loro favore. La Ugtt è una delle 4 sigle che ha vinto il premio Nobel nel 2015, ed il segratorio locale di Chebba è sempre in contatto con il cellulare con Mhoammed e la sua famiglia. Spontaneamente solidarizzano con la lotta di questa famiglia gli altri pescatori di Chebba che vogliono bloccare il porto a terra, annunciando uno sciopero. La famiglia di pescatori adesso sta aspettando se lo sciopero portertà il risultato desiderato. “Vorremmo che il Governo tunisino ci offra una soluzione – dicono – in ogni caso vogliamo essere inseriti sulla lista dell’asta per le concessioni del prossimo anno.” Se sarà troppo lungo il tempo per il prossimo lavoro, e se dovessere mancare i soldi alla famiglia Mohammed ed i suoi andranno a lavorare nelle navi in mare aperto, o come manovali al porto, “del resto – ci dice – non abbiamo mai imparato un altro lavoro diverso da quello del mare.” Traduzione dell’articolo di Christoph Koitka

MH
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