I profughi che arrivano in aereo

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Andrea Scutella – La Repubblica

ROMA – “I’m happy”, sono felice. Il sorriso di Yasmine dice molto di più delle sue prime parole: non è felice, è raggiante. Varca le porte dei controlli all’aeroporto di Fiumicino con tutta la sua famiglia: il marito Suleyman, 34 anni, e il figlio Hussein, che stringe in mano un coniglietto di pezza e lo mostra emozionato ai fotografi. Ma la star è la piccola Falak: 6 anni, un occhio portato via da un tumore e l’altro, invece, che ancora si può salvare. Ci proverà l’ospedale Bambin Gesù di Roma, dove Farak inizierà la chemioterapia. Yasmine, Falak, Suleyman e Hussein sono originari delle città di Homs, da cui sono scappati due anni fa. Da allora hanno vissuto a Tripoli. Sono i primi profughi siriani a beneficiare del progetto pilota di corridoio umanitario lanciato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e dalla Comunità di Sant’Egidio, finanziato con l’otto per mille della Chiesa valdese. E Yasmine, con un accento che rasenta la perfezione, canta sorridendo: “Sono un italiano, un italiano vero”.

Priorità ai più vulnerabili. Mille. È la quota massima di persone fissata per il progetto, compreso all’interno del programma Mediterranean Hope della Fcei. Sono appena una goccia, pensando al milione di profughi che ha raggiunto le coste dell’Europa nel 2015 e ai 3.771 che sono morti in mare. In 86 dovrebbero arrivare dal Libano in aereo già entro febbraio, mentre sono in via di definizione gli accordi con il Marocco e l’Etiopia. I beneficiari saranno scelti in base alla vulnerabilità delle situazioni: priorità a disabili, malati, donne e bambini con situazioni particolari.

Un progetto pilota ma “politico”. “Questo è un progetto pilota ma è anche un progetto molto politico, perché dimostra che la società civile riesce dove i governi europei falliscono. È possibile una gestione democratica e pragmatica del dramma dei profughi evitando i morti in mare e che le mafie prosperino su queste persone”, spiega Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope che ha accompagnato Yasmine e la sua famiglia in Italia. “Occorre trovare delle vie alternative al salto della morte, il corridoio umanitario vuole essere anche un’iniziativa che incoraggi paesi e altre organizzazioni a fare lo stesso”, sottolinea Cesare Zucconi della Comunità Sant’Egidio. “Tra l’altro queste persone vengono identificate già prima di partire: le impronte vengono prese a tutti e i nomi sono certi”.

Quel garage nella periferia di Tripoli affittato per 200 dollari al mese. Identificare i possibili beneficiari comporta una scelta: la “selezione” delle situazioni vulnerabili. “È una scelta che non mi pesa – spiega Piobbichi – perché lavoro tutti i giorni a Lampedusa da due anni e so cosa succede nel Mediterraneo”. La famiglia di Falak è stata segnalata a Mediterranean Hope, tramite un’associazione, dallo zio giunto Lesbos. Che ha raccontato la storia della sua nipotina senza un occhio, che rischiava di perderne un altro e che viveva con i genitori in un garage nella periferia di Tripoli, affittato a caro prezzo: per 200 dollari al mese. In Libano, Falak, non poteva ricevere la necessaria assistenza medica. Storie comuni, per chi viene da una guerra devastante. “Il compagno di banco di Falak – spiega Piobbichi – ha perso una gamba per colpa di una bomba. Di storie, in Libano, ce ne sono tante: è una nazione con quattro milioni di abitanti e due milioni di profughi”. Anche Piobbichi è stanco, ma è felice proprio come Yasmine. “Ci sono stati intoppi con le autorità libanesi che hanno trattenuto il padre fino a ieri sera, pensavamo di non riuscire a portarlo e invece ce l’abbiamo fatta. Gli ho prenotato il biglietto con il mio smartphone alle 9.30 di sera da un bar di Beirut”.

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MH
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