Triangolazioni mediterranee: Falak, la mamma, lo zio e Julia e Lady SOS

Olivia Lopez Curzi – NEV

Roma, 17 febbraio 2016 – Esiste un filo invisibile che collega la Siria, il Libano, la Grecia e l’Italia. E’ la storia di una giovanissima mamma coraggiosa, di un papà e dei loro due figli. Ma è anche la storia di alcune persone comuni e della loro grande umanità.

E’ una narrativa che si pone in netto contrasto con le politiche europee sulle migrazioni degli ultimi mesi, e che dà un’ulteriore conferma di come la società civile in Italia e in Europa sia ben più avanti dei suoi governanti. Questi, così impantanati nell’improbabile difesa della Fortezza Europa da rinnegare gli stessi valori e ideali su cui si fonda il progetto europeo, non riescono a dare risposte efficaci e dignitose ai bisogni umanitari di migliaia di persone in fuga. Ma quella che si vuole provare a raccontare è un’altra storia. Con la speranza che possa essere un incoraggiamento per i tanti che continuano a spendersi per il prossimo e uno stimolo ad agire per i moltissimi che invece continuano a girare lo sguardo da un’altra parte.

E’ il 2014 quando Nawal Soufi, attivista catanese di origini marocchine impegnata da svariati anni nel soccorso dei profughi in difficoltà – e conosciuta ai più come Lady SOS o come ‘l’angelo dei profughi’ (dal titolo del libro a lei dedicato dal giornalista Daniela Biella) – entra in contatto con un giovane siriano sopravvissuto alla traversata dell’Egeo. E’ in quell’occasione che Safwan, questo il nome del ragazzo siriano, ha la prontezza di appuntarsi il numero dell’attivista. Passano alcuni mesi e il giovane, come tantissimi altri, dopo aver proseguito lungo la rotta balcanica arriva in Germania dove formalizza la sua richiesta d’asilo e si stabilizza. Nei primi giorni di dicembre 2015, però, riceve una chiamata di sua sorella Yasmien che disperata e in lacrime gli confida che il tumore è ritornato, che Falak, la sua piccola di soli sette anni, è nuovamente malata. Ma questa volta lei e la sua famiglia non si trovano a casa, ad Homs, in Siria, sono rifugiati in Libano, e Yasmien non può aiutare la sua bimba perché le cure hanno un costo elevato, e loro – che da quando sono dovuti scappare dalla guerra sopravvivono a stento in un piccolo garage umido alle porte di Tripoli – non possono certo permettersi di pagarle.

Il giovane siriano si ricorda di quel biglietto stropicciato con appuntato il nome della ragazza gentile che parlava arabo, e decide di chiamare. A quella chiamata segue un appello pubblicato sul seguitissimo profilo Facebook di Nawal a cui risponde Julia, una giovane donna tedesca che vive da moltissimi anni a Milano. Julia non ha nulla da offrire alla giovane mamma siriana se non la garanzia di fare tutto il possibile per offrire a Falak una speranza. E l’unica speranza sono delle cure che in Libano costano centinaia di euro al giorno.

Julia diventa, grazie a Whatsapp, una confidente, una grande amica, quasi una sorella per Yasmien. E’ lei che contatta le due giovani dottoresse dell’ospedale di Beirut che, con qualche stratagemma, riescono a far operare la piccola Falak gratuitamente nel tentativo di fermare la malattia che avanza impietosa. Ed è sempre lei che paga l’albergo alla giovanissima mamma e a Falak per i giorni immediatamente successivi all’operazione.

Ma Julia fa di più.

Il 19 dicembre scrive una mail che cambierà la vita di Yasmien, di suo marito Suliman, e dei due di figli, Falak e Hussein. Ed è così che, partita dalla Siria, toccando il Libano, la Grecia, la Germania e Milano, la storia di Falak arriva fino all’ufficio di Roma dove lavoriamo per organizzare l’accoglienza dei beneficiari del progetto pilota di corridoi umanitari. Sono stati due mesi febbrili, in corsa con il tempo. Si doveva accelerare, applicando, per la prima volta, le procedure immaginate dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) in partenariato con la Comunità di Sant’Egidio – e con l’importante contributo della Tavola valdese – per proporre un’alternativa alla traversata costosa e troppo spesso mortale del Mediterraneo. E tutti hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo cercando di superare le inevitabili pastoie burocratiche, compresi gli interlocutori ministeriali.

Oggi, Falak e la sua bellissima mamma, con lo scalmanato Hussein e papà Suleiman, si trovano al sicuro a Roma. E speriamo che sia solo la prima delle numerose storie a lieto fine che questo progetto potrà raccontare.

MH
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