A pochi giorni dal patto sui migranti siglato da Turchia e Ue, ci spostiamo su un altro confine, quello tra Messico e Stati Uniti, chiamato più volte in causa nella campagna elettorale del candidato presidente Usa Donald Trump.
Spesso abbiamo parlato di frontiere crescenti in Europa, e del Mediterraneo come frontiera naturale. Con le dovute differenze, anche il deserto che divide il Messico e gli Usa è un confine naturale che sembra essere sfruttato da chi vuole rallentare l’immigrazione. Marta Bernardini dell’osservatorio di Mediterranean Hope, si trova da tre mesi in Arizona per lavorare con la United Church of Christ e capire cosa quel confine possa insegnare a chi da anni lavora sulla frontiera di Lampedusa. Comprendere questo confine, in questa parte del mondo, per capire in modo più esteso e approfondito cosa sono le frontiere oggi e guardare le nostre con il dovuto distacco.
Intorno alla chiesa orbitano diverse associazioni tra cui quella dei Samaritans, gruppo di 300 volontari, che da quasi 15 anni si organizzano per fare missioni nel deserto, sia di ricerca di migranti in difficoltà, sia per mettere l’acqua e del cibo in alcuni punti strategici per il passaggio delle persone: un aiuto umanitario concreto. Così come in Messico, a Nogales, in un centro di accoglienza gestito dai gesuiti, in cui il lavoro principale è informare i migranti sui loro diritti e raccogliere le loro storie. Chi cerca di attraversare la frontiera è schiacciato tra due forze violente: da una parte quella dei trafficanti, dei cartelli della droga e della povertà, dall’altra le leggi severe sulla clandestinità dei migranti.
Il confine è in parte differente da quello osservato a Lampedusa: qui c’è un muro visibile che separa il Messico dagli Stati Uniti, una barriera che attraversa il deserto, mentre a sud dell’Europa la prima parte del lavoro di separazione viene fatto fare al mar Mediterraneo. L’instabilità e il malessere, però, sono slanci comuni per lo spostamento, anche in parti diverse del mondo.
Spesso l’obiettivo principale è rifarsi una vita senza dover sottostare alle regole dei cartelli della droga, ma si sfugge anche alle persecuzioni, alla povertà. Le associazioni e le chiese lavorano per tutelare i migranti, sia dal punto di vista della salute, sia dal punto di vista giuridico quando è necessario.
A febbraio la visita di papa Francesco, che aveva denunciato con chiarezza la corruzione e lo schiavismo, aveva fatto storcere il naso alla politica, ma dato una sferzata di entusiasmo alle persone che lavorano per i diritti umani. Un visita importante, sentita sia in Messico che negli Usa.
Reazioni di scoraggiamento, invece le ha provocate la dichiarazione del candidato Trump sulla costruzione di un nuovo muro sul confine: «la campagna di Trump ha sdoganato la possibilità di esprimere dei sentimenti di odio a proposito dei migranti – dice Marta Bernardini – ma l’idea di costruire un nuovo muro non è diversa dalle scelte politiche degli ultimi anni. Anche con l’attuale amministrazione Obama ci sono deportazioni di famiglie, separate dopo anni che sono negli Usa, o donne con bambini che aspettano mesi per poi essere rimandate nei paesi da cui scappano». La politica di Trump è preoccupante e scoraggia il lavoro che si fa sul confine. Al di la della possibilità di vincere di questo candidato, è da tenere in considerazione che molti lo sostengono e che l’odio verso chi scappa per cercare una vita migliore continua a non tramontare.