Un grazie al popolo greco e un appello all’Europa perché ricordi che i profughi prima di essere numeri sono storie e volti. Papa Francesco parla al porto di Lesbo, con accanto Bartolomeo e Hieronymos. Si rivolge alla cittadinanza rappresentata da cinquemila persone tra le quali anche un piccolo gruppo di cattolici. «Esprimo ammirazione al popolo greco», dice il Papa «che, nonostante le gravi difficoltà da affrontare, ha saputo tenere aperti i cuori e le porte. Tante persone semplici hanno messo a disposizione il poco che avevano per condividerlo con chi era privo di tutto. Dio saprà ricompensare questa generosità, come quella di altre nazioni circostanti, che fin dai primi momenti hanno accolto con grande disponibilità moltissimi migranti forzati».
Parlando dal presidio della Guardia costiera, papa Francesco sottolinea che «voi, abitanti di Lesbo, dimostrate che in queste terre, culla di civiltà, pulsa ancora il cuore di un’umanità che sa riconoscere prima di tutto il fratello e la sorella, un’umanità che vuole costruire ponti e rifugge dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicura. Infatti le barriere creano divisioni, anziché aiutare il vero progresso dei popoli, e le divisioni prima o poi provocano scontri».
Il Papa richiama alle responsabilità internazionali e alla necessità di «costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza. In questa prospettiva rinnovo l’auspicio che abbia successo il Primo Vertice Umanitario Mondiale che avrà luogo a Istanbul il mese prossimo».
Il Papa ricorda che «molti profughi che si trovano su quest’isola e in diverse parti della Grecia stanno vivendo in condizioni critiche, in un clima di ansia e di paura, a volte di disperazione per i disagi materiali e per l’incertezza del futuro. Le preoccupazioni delle istituzioni e della gente, qui in Grecia come in altri Paesi d’Europa, sono comprensibili e legittime. E tuttavia non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere. Purtroppo alcuni, tra cui molti bambini, non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini».
Per rispondere a questa tragedia c’è bisogno dell’impegno di tutti, «insieme si possono e si devono cercare soluzioni degne dell’uomo alla complessa questione dei profughi. E in questo è indispensabile anche il contributo delle Chiese e delle Comunità religiose. La mia presenza qui insieme al Patriarca Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos sta a testimoniare la nostra volontà di continuare a collaborare perché questa sfida epocale diventi occasione non di scontro, ma di crescita della civiltà dell’amore. Di fronte alle tragedie che feriscono l’umanità, Dio non è indifferente, non è distante. Egli è il nostro Padre, che ci sostiene nel costruire il bene e respingere il male. Non solo ci sostiene, ma in Gesù ci ha mostrato la via della pace. Di fronte al male del mondo, Egli si è fatto nostro servo, e col suo servizio di amore ha salvato il mondo».
Ed è il servizio che ci fa migliori, che «fa uscire da sé stessi e si prende cura degli altri, non lascia che le persone e le cose vadano in rovina, ma sa custodirle, superando la spessa coltre dell’indifferenza che annebbia le menti e i cuori. Grazie a voi, perché siete custodi di umanità, perché vi prendete teneramente cura della carne di Cristo, che soffre nel più piccolo fratello affamato e forestiero, e che voi avete accolto».
Al termine del discorso sono state recitate tre preghiere dai tre leader per le vittime delle migrazioni. E, dopo un minuto di silenzio, il Papa, il Patriarca e l’Arcivescovo hanno ricevuto tre corone di alloro da tre bambini. Dal molo le corone sono state lanciate in mare in ricordo di quanti hanno perso la vita in queste acque.