Lampedusa, Agrigento, 11 maggio 2016 (NEV) – Il vento di scirocco soffia su questo scoglio in mezzo al Mar Mediterraneo ormai da giorni, portando con sé nuvole rosse colore del Sahara e un’atmosfera fosca e cinerea. La sabbia del deserto si poggia sulla quotidianità di Lampedusa, con i suoi negozi che lentamente si svegliano per organizzare la prossima stagione estiva e i primi turisti che girovagano assaporando le bellezze dell’isola. L’atmosfera quieta e apparentemente immobile è rotta, da ormai sei giorni, dalla presenza inusuale di un gruppo di circa sessanta persone che hanno deciso di lasciare l’hotspot di Lampedusa per protestare dapprima di fronte alla chiesa di San Gerlando, ora nella piazza antistante l’ufficio di Mediterranean Hope.
La protesta portata avanti da persone provenienti da Somalia, Eritrea, Darfur (Sudan), Yemen ed Etiopia e che vede la partecipazione di otto minori e cinque donne (una è incinta al quarto mese di gravidanza), nasce da un insieme di ragioni. Durante gli ultimi giorni più volte si è parlato con i ragazzi nel tentativo di rompere la distanza che divide “noi” da “loro”, provando a comprendere le cause, le motivazioni e lo scopo di questo manifesto malcontento. La loro volontà non è quella di disubbidire alle leggi italiane ed europee ma di lottare per ottenere quei diritti che l’Europa tutela e difende.
I ragazzi, come riferito anche nella giornata di ieri durante un incontro tenutosi nei locali della chiesa e promosso da una parte della società civile dell’isola, lamentano le cattive condizioni igieniche del centro hotspot di Lampedusa, sottolineando ad esempio come molti materassi siano continuamente bagnati dall’acqua che fuoriesce dai bagni. I ragazzi non comprendono inoltre perché il centro somigli tanto ad una prigione in cui essere rinchiusi, senza però aver commesso alcun reato se non quello di essere fuggiti da situazioni di conflitto, persecuzioni e povertà.
Altro nodo centrale evidenziato dalla protesta in corso è il rilascio delle impronte digitali sull’isola di Lampedusa. I ragazzi spiegano che il loro iniziale rifiuto a concedere le impronte era dovuto alle poco chiare operazioni di identificazione effettuate immediatamente all’ingresso nel Centro. Foto-segnalamento, prelievo delle impronte digitali e compilazione del foglio notizie sembrerebbero essere fatte non appena le persone scendono dall’autobus che conduce i migranti dal molo di approdo al campo, a qualsiasi ora avvenga l’arrivo e qualsiasi siano le condizioni dei migranti. Si domandano quindi se in tali circostanze possa avvenire una corretta e completa informazione sui diritti loro spettanti.
Le carenze nell’informativa legale circa i diritti e gli obblighi si riflette infatti nelle informazioni a volte confuse o lacunose in possesso dei ragazzi. Alcuni pensavano di poter raggiungere altri paesi europei per poter avviare le procedure di asilo e ricongiungersi così con familiari e amici; altri non erano a conoscenza della possibilità di essere ricollocati attraverso il meccanismo delle quote inaugurato la scorsa estate dall’Unione Europea e un’ultima parte, infine, manifestava un’aperta mancanza di fiducia verso le istituzioni italiane ed europee.
Durante queste giornate di primavera, l’isola di Lampedusa ancora una volta diventa palcoscenico in cui si palesano alcune delle criticità insite nelle politiche dell’accoglienza ed è comprensibile che la gestione dei fatti di questi giorni preoccupi anche i lampedusani che si preparano alla stagione estiva. La voce delle persone migranti si accompagna a striscioni, realizzati probabilmente con le lenzuola usa-e-getta fornite nel centro, e si può leggere: “We are refugees, we need freedom” cioè “Siamo rifugiati e abbiamo bisogno di libertà” oppure “Vogliamo andarcene da questa prigione”. Mediterranean Hope a Lampedusa sta seguendo da vicino gli avvenimenti di questi giorni e può testimoniare la determinazione di queste persone che chiedono che i loro diritti siano rispettati, interrogando un’Europa ancora alla ricerca di risposte pratiche e appropriate.