Conoscere per comprendere

Beatrice Calabrese, volontaria di Mediterranean Hope presso la Casa delle culture di Scicli

Sicli, Ragusa (NEV), 23 novembre 2016 – Decidere di fare la volontaria può essere una scelta difficile. Ancor di più quando ciò implica il superamento di barriere linguistiche e culturali. Sono partita per la Sicilia con una valigia piena di buoni propositi. Il mio obiettivo era aiutare i minori che, dopo aver attraversato l’Africa da soli, sbarcano nell’hotspot di Pozzallo e da lì approdano alla “Casa delle Culture” di Scicli.

Una volta arrivata mi ha accolto una vera famiglia. Già dal primo giorno, infatti, l’aria che ho respirato varcando quella soglia mi ha dato l’impressione del già vissuto; il concetto di “centro”, inteso come spazio definito nei suoi perimetri e limitato nelle sue attività, non appartiene neanche lontanamente alla “Casa delle Culture”, dove gli ospiti godono del grado di autonomia degli operatori. Le relazioni nella casa, serene proprio perché libere da qualsiasi forma di pregiudizio, creano un’integrazione di fatto, profonda.

Ciò che più mi ha sorpreso è stata la volontà dei ragazzi di avvicinarsi a noi, ospiti a nostra volta. Molti di loro manifestano la forte esigenza d’impadronirsi del bagaglio linguistico che servirà loro per ambientarsi nel nuovo mondo con il quale saranno destinati a relazionarsi. Sembrano tutti consapevoli di quanto sarà difficile seguire le lezioni in italiano una volta che cominceranno a frequentare le scuole superiori di Scicli. Tuttavia è molto incoraggiante vedere il piglio con cui questi ragazzi reagiscono alle difficoltà che stanno affrontando, e lo è ancora di più visto il modo in cui collaborano tra di loro: succede spesso che quelli che meglio padroneggiano le lingue aiutino i compagni meno preparati.

Ciò che mi ha spronato più di ogni altra cosa ad impegnarmi nelle attività che si svolgono nella Casa, è il sorriso di quelle persone quando si decide di andare a mangiare un gelato. Adunate di massa su e giù per le scale, mobilitazione generale e tutti davanti all’ingresso come se fosse un’esercitazione anti-incendio. È con un sorriso dolce e amaro insieme che bambini già troppo cresciuti si avvicinano insicuri al vetro, senza sapere quale gusto scegliere. Sono contenti, entusiasti, innocenti. Un candore cui fa contrasto lo stupore misto a curiosità che io ho colto sul volto delle persone che la comitiva incontrava per strada. La recente immigrazione che ha raggiunto le coste della Sicilia viene ancora vissuta come qualcosa di nuovo e di anomalo.

Perché? Non è forse l’Italia uno dei paesi che da sempre è arricchito da molteplici contributi culturali? Non è forse vero che fino a pochi decenni fa la lingua italiana era parlata da una piccola minoranza, mentre ampia parte della popolazione si esprimeva in dialetti? Difficile negare infatti che all’interno della stessa penisola ci siano differenze nello stile di vita e nell’organizzazione dell’apparato sociale, dovute principalmente ai continui interscambi tra chi è andato e tornato, riportando a casa idee lontane da quelle della comunità nativa. Sembra quasi che stiamo dimenticando la nostra storia multiculturale, offuscata sempre più da una babele di travisate interpretazioni mediatiche. Crescere senza familiarizzare con l’“altro” equivale a condannarsi a guardare il mondo dallo spioncino della porta di casa. Se sostituissimo a questa paura una concezione d’immigrazione come risorsa e arricchimento forse potremmo creare una società più libera, più sicura e decisamente più eterogenea, nella quale si possano aprire nuove possibilità di vita in comune. Il volontariato alla “Casa delle Culture” è anche questo: imparare a stare insieme e a trovare un equilibrio comune. Conoscere è l’unica arma che abbiamo per combattere la paura del “nuovo”.

MH
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