La morte di Sandrine Bakayoko nel bagno del centro di prima accoglienza di Conetta, frazione del comune di Cone, deve insegnare qualcosa. Deve segnare un punto di non ritorno nell’organizzazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia.
Vorrei soffermarmi anzitutto su un dato: nel centro erano presenti al momento della morte di Sandrine quasi 1400 richiedenti asilo, la frazione di Conetta in cui il centro è ospitato ha 197 abitanti.
I dati parlano chiaro. Chiamarlo centro di prima “accoglienza” è sbagliato.
Andrebbe piuttosto chiamato centro di custodia.
C’è una lezione nella storia del nostro paese che andrebbe sempre ripassata.
E’ la lezione della più grande rivoluzione sociale operata in Italia dal dopoguerra ad oggi. Una lezione tutta italiana di cui dobbiamo essere fieri. E’ la storia di Franco Basaglia e del suo gruppo di lavoro.
Fino a lui si accoglievano i matti mettendo al centro dell’intervento la tutela della collettività da salvaguardare contro i rischi costituiti dalla minaccia della malattia mentale.
Oggi, grazie a Basaglia, abbiamo capito che ogni servizio sociale deve avere al centro la persona, la sua dignità, le sue condizioni di vita.
A Conetta di tutto questo non c’era nulla.
Per accogliere richiedenti asilo sul serio occorre dare loro scuole di italiano, tutela legale, sanitaria, occasioni di socialità e di integrazione, proposte di tirocini lavorativi.
Un paese di 197 abitanti con 1400 richiedenti asilo non ce la farà mai.
Purtroppo va detto che una delle ragioni del sovraffollamento di centri come questo è che i comuni del Veneto non danno disponibilità all’apertura di centri di accoglienza per richiedenti asilo: meno del 50 per cento dei comuni della provincia di Venezia ha aderito al sistema di accoglienza governativo, quindi i richiedenti asilo vengono spesso mandati dai prefetti in edifici militari riconvertiti in centri di accoglienza straordinari, lontani dalle città.
Però c’è anche un’altra Italia.
Da gennaio 2016 sono arrivati in Italia circa 500 siriani con un progetto di corridoi umanitari voluto dalla Federazione delle chiese evangeliche italiane e Comunità di sant’Egidio.
Milano ha accolto fino ad oggi 8 famiglie.
Il progetto è nuovo e ha suscitato grande interesse e curiosità. A Diaconia valdese, ente gestore, sono giunti fin ora molti inviti per partecipare a serate e dibattiti e ascoltare il racconto di come vanno le cose. Incontri sempre molto partecipati.
Al termine puntualmente molte persone si fanno avanti per condividere e sostenere. Chi offre tempo, competenze, cose…
E’ l’Italia migliore. Quella che fa pensare che si può scommettere sull’accoglienza.
Quella vera. Che offre a chi scappa dalla guerra e dalla fame non solo un letto e un tetto.
Ma relazioni, occasioni, proposte, vita.
C’è molto da fare.
Ma prima di tutto c’è da decidere che la morte di Sandrine sia una spinta a crescere e a cambiare.
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