15 Paesi dell’Unione equivalgono a un solo corridoio umanitario, fatto dalla società civile

Marco Impagliazzo – Huffington Post

I grandi assenti? Austria, Danimarca, Ungheria e Polonia. Da loro neanche un migrante “ricollocato”, a pagarlo oro. E va bene, si potrebbe anche dire che ciascuno di quegli Stati ha una sua giustificazione. Ma poi, per fare un paragone con i corridoi umanitari, sei costretto ad aggiungere Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Cechia, Estonia, Malta, Liechtenstein, Slovenia, Slovacchia e Svezia, che pure qualche piccolo gruppo di migranti hanno accettato.
Solo allora, secondo le statistiche ufficiali europee del febbraio scorso, ovvero considerando ben 15 Paesi dell’Unione Europea messi insieme, si arriva alla cifra di 680 profughi “ricollocati” (con la relocation). Lo stesso, identico, numero di quelli portati in salvo dal Libano in Italia con i corridoi umanitari.
Da una parte però ci sono gli apparati statali di oltre mezza Europa, con le loro capacità economiche e finanziarie, dall’altra appena tre soggetti privati (Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese).
Golia contro Davide. Il primo – come del resto si legge nella narrazione biblica – sonoramente sconfitto dal secondo. E non solo sui numeri, ma anche sul tempo perché, per raggiungere quella cifra, l'”intrepida” brigata dei 15 Paesi ha impiegato un anno e mezzo mentre i corridoi umanitari, realizzati grazie ad un accordo fra le tre sigle cristiane e lo Stato italiano, esistono da solo un anno.
Si potrebbe anche obiettare che si tratta di due fattispecie diverse, perché i ricollocamenti riguardano i tanti profughi arrivati in Italia o in Grecia da redistribuire equamente nel resto d’Europa mentre i corridoi fanno partire persone che si trovano nei Paesi di rifugio, come il Libano.
D’accordo, allora facciamo il confronto con le cifre dei cosiddetti “reinsediamenti” (resettlement) che assomigliano di più a quel sistema perché, appunto, prendono da fuori Europa migranti rifugiati. Ma anche qui, sorprendentemente, le cose non cambiano: per giungere alla stessa cifra bisogna mettere insieme 10 Paesi, in parte gli stessi di prima.
Paragoni paradossali che portano a un’amara riflessione. Si tratta infatti di calcoli che danno la misura dell’Europa con la quale dobbiamo oggi confrontarci, per l’egoismo di alcuni dei Paesi che la compongono, da una parte, per gli scarsi strumenti (e sanzioni) capaci di mettere in pratica decisioni prese insieme, dall’altra.
Si impone inoltre la necessità non solo di una maggiore programmazione, ma soprattutto di una visione. Perché, cifre a parte, i corridoi umanitari, che portano ormai da un anno profughi siriani dal Libano, garantiscono sicurezza sia per loro (arrivano con gli aerei e non con i barconi) che per i cittadini italiani (i controlli vengono fatti in partenza e all’arrivo), sono autofinanziati da chi li promuove e, soprattutto, favoriscono l’integrazione con il coinvolgimento nell’accoglienza (diffusa sul territorio) di una parte significativa della società civile.
In altre parole sono un “progetto”, ciò che serve per il futuro dell’Europa e ciò che manca tante volte per colpa di troppe strumentalizzazioni politiche del fenomeno immigrazione nel suo complesso.

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MH
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