Il tempo della sera alla Casa delle Culture

di Gerardo Filippini, operatore di Mediterranean Hope – Scicli

Roma (NEV), 3 magggio 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “lo sguardo” proviene dalla Casa delle Culture di Scicli. Aperta nel dicembre del 2014, la struttura offre ospitalità a migranti in condizione di particolare vulnerabilità (giovani mamme, donne incinte, minori non accompagnati). Oltre alle attività d’accoglienza, orientamento e formazione, la Casa promuove programmi sociali, interculturali e di integrazione aperti alla popolazione locale, con lo scopo di promuovere una cultura dell’integrazione.

Alla Casa delle culture le giornate vivono ritmi diversi: al lento risveglio del mattino seguono ore incalzanti. Per i nostri ragazzi il tempo è scandito da orari e appuntamenti che cercano di regolare questa piccola grande comunità. La sera, dopo cena, tutto ritorna lento, finite le pulizie di cucina e sala da pranzo c’è chi affronta interminabili conversazioni telefoniche con amici e parenti a casa.

La sera che si fa notte è il momento della nostalgia: poter parlare con una voce amica nella propria lingua madre incoraggia quei ragazzi, che appena arrivati e ancora confusi si aggrappano alle voci di casa per trarre la forza di proseguire il viaggio. Diverso il tono degli “anziani” della Casa, le cui conversazioni vengono spesso scandite da battute divertenti e sonore risate. Qualche volta il telefono porta brutte notizie: un amico partito per l’Italia di cui non si hanno più notizie, spesso un lutto.

I ragazzi hanno una grande capacità di condivisione della sofferenza, e nei periodi bui riescono a ricreare una piccola famiglia solidale; hanno la straordinaria capacità, di farsi madre, padre e fratello nei momenti di dolore dei loro compagni. Ogni sera ha i suoi riti: tra questi, l’arrivo di Bartolo, l’operatore notturno. Quando Bartolo arriva in struttura, i ragazzi lo sommergono con saluti calorosi, la sua bonarietà e simpatia fanno breccia anche negli ospiti più introversi e riservati. Bartolo non ha problemi di comunicazione, la sua umanità gli permette di farsi capire indifferentemente in arabo, inglese, francese e varie lingue subsahariane, sebbene non ne conosca mezza parola. È semplicemente straordinario. È un esempio vivente di come con semplicità e amore si abbattano le barriere, in primo luogo quelle linguistiche.

Dopo il suo arrivo Bartolo si premura che tutto sia in ordine, un giro per le stanze per controllare la sistemazione dei ragazzi, la conoscenza degli eventuali nuovi arrivati. Nonostante l’anagrafe dica che non è un ragazzino, dopo aver espletato alcune incombenze Bartolo gioca accese ed appassionate partite di ping pong, in piccoli tornei improvvisati con i ragazzi. Viene così l’ora di andare a dormire: alle 23 si abbassano le serrande del grande salone, si richiamano i ragazzi che ancora indugiano al pc o che chiacchierano a piccoli gruppi. Un controllo nelle stanze, le piccole richieste prima del sonno: un bicchier d’acqua, una mela.
Si spengono le luci, risuonano ancora le voci, qualche risata. “Fate bei sogni ragazzi, domani è un altro giorno”.

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