Roma (NEV), 20 giugno 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “lo sguardo” proviene dalla Casa delle Culture di Scicli. Aperta a dicembre 2014, la struttura offre ospitalità a migranti in condizione di particolare vulnerabilità (giovani mamme, donne incinte, minori non accompagnati). Oltre alle attività d’accoglienza, orientamento e formazione, la Casa promuove programmi sociali e interculturali aperti alla popolazione locale, con lo scopo di promuovere una cultura dell’integrazione.
“Mama, my baby is rising up, help me!” (Mamma, il mio bimbo sta nascendo, aiutami!). Sono le 8.30 del mattino e la Casa delle Culture-Mediterranean Hope di Scicli si risveglia al suono dell’ambulanza che viene ad assistere Maimuna per condurla presso l’ospedale di Modica. Due occhi neri e grandi mi fissano impauriti. Due occhi in cui si legge tutta la storia di una ragazza fuggita da una vita di maltrattamenti e ingiustizie che nessun essere umano dovrebbe mai vivere.
Maimuna è sbarcata in Italia al termine della sua gravidanza e nella Casa ha trovato un gruppo di sue connazionali che l’ha subito accolta con tanta cura e affetto. Arriviamo in ospedale. Maimuna e il suo bimbo stanno bene e la quasi-mamma viene ricoverata per controlli. Ritorno in struttura a Scicli dove, nel frattempo, la grande famiglia della Casa delle Culture si è già messa in allerta provvedendo a preparare tutto il necessario: borsone per la sala parto, vestitini per il piccolo in arrivo, camicie da notte e vestaglia per la mamma, fasciatoio, carrozzina e tanto altro ancora.
Maimuna ha perso entrambi i genitori in Nigeria e l’unica della famiglia a sapere della sua gravidanza è la nonna. L’unica, perché Maimuna si vergogna di questa gravidanza, che è la conseguenza di una violenza sessuale che la giovane ha subito mentre si trovava in Libia in attesa di imbarcarsi per l’Italia. Per questo motivo Maimuna aveva deciso che, una volta partorito, avrebbe dato il bambino in adozione.
Jami, questo il nome che ha scelto per il figlio, piccola vita che sta per venire al mondo. Le voci corrono, a miglia di distanza; la nonna interviene con parole dure durante una telefonata. Maimuna mi guarda smarrita e cerca conforto. Dopo un lungo ed emozionante confronto la decisione è presa: “Terrò con me mio figlio”.
La prima ecografia è un turbinio di emozioni. Maimuna guarda il monitor dell’ecografo con gli occhi spalancati, è alla 37ma settimana di gravidanza e, per la prima volta, vede il suo bambino. Le lacrime rigano copiose il suo viso. Controlli su controlli, visite, sbalzi d’umore come le onde del mare che hanno accompagnato Maimuna e Jami durante il viaggio sul Mediterraneo.
Trascorrono 24 ore dal ricovero in ospedale. Squilla il telefono e dall’altro capo una voce annuncia l’imminente arrivo di Jami. Scatta l’allarme nella Casa delle Culture, tutti in preda all’agitazione, chi corre di qua, chi di là, chi corre fuori ed accende una sigaretta come nelle migliori scene da film. Si preparano i bagagli.
Nel frattempo c’è già chi si è recato in ospedale a dare man forte a Maimuna. Le doglie sono forti e qualcuno rischia una frattura multipla ad una mano stretta con forza per scacciare via la sofferenza del travaglio. Poi, in sala parto. L’infinita attesa viene interrotta dal telefono che squilla in continuazione alla ricerca di notizie. È una stupenda domenica di fine maggio e Jami vede la luce. Un bellissimo bimbo con tanti capelli neri, sano, vispo, che profuma di libertà.