Anche se non si vede

di Tommaso Tamburello

Roma (NEV), 30 agosto 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene dall’Osservatorio di Lampedusa.

L’estate che sta volgendo al termine ci ha visto testimoni di significativi cambiamenti in seno al tema delle migrazioni. Le politiche interne ed estere messe in atto dal governo hanno mirato a contrastare con fermezza un fenomeno migratorio verso le nostre coste che ha raggiunto numeri e proporzioni senza precedenti.

Sul fronte interno il codice di condotta per le ONG è stato redatto con lo scopo di regolamentare le operazioni di salvataggio in mare da parte delle diverse organizzazioni non governative attive nella zona SAR libica. Alla luce dei fatti però, il discusso codice di condotta ha avuto il grande effetto di generare un dibattito mediatico, accendendo i riflettori sulle ONG “ribelli” che si rifiutavano di firmare e dando seguito a quel processo di delegittimazione delle stesse che si era venuto a creare già a partire da dicembre scorso, con le pesanti accuse di collusione con i trafficanti mosse da Frontex alle ONG. Tutto ciò ha contribuito ad inserire nel dibattito nazionale sulle ONG elementi come «favoreggiamento all’immigrazione clandestina» e «legami con i trafficanti di esseri umani», andandosi ad aggiungere a delle espressioni già piuttosto inflazionate come “taxi del mare”, “pull factor” e via dicendo.

Sul fronte delle politiche estere, l’Italia a gennaio ha sottoscritto col governo di Tripoli di Fayez al-Serraj un memorandum d’intesa, atto a risolvere «alcune questioni che influiscono negativamente sulle Parti, tra cui il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante». Questo accordo viene supportato dall’Unione Europea ed è inserito in un più ampio disegno volto all’esternalizzazione della frontiera, sulla scia di quanto già visto in Marocco e Turchia. La Libia si impegna a chiudere il confine meridionale, principale punto di transito per i migranti che provengono dai paesi sub-sahariani, l’Italia dal canto suo si impegna a fornire «supporto tecnico e tecnologico» alla Guardia costiera libica, oltre che a prevedere programmi di finanziamento volti all’«adeguamento» dei «centri di accoglienza» esistenti in Libia e all’«avvio di programmi di sviluppo nelle regioni colpite dall’immigrazione illegale».

Questo accordo ripropone in parte quanto già visto fra Unione Europea e Turchia; il compito di gestire e arrestare i flussi migratori viene quindi delegato al paese che fa da ponte tra i paesi di partenza e quelli di arrivo, dislocando la frontiera ben oltre i confini e le acque territoriali. Il rischio evidente che si verifica in questo processo è quello di affidare le sorti di centinaia di migliaia di persone ad un paese frammentato e instabile come la Libia, un paese che non aderisce alla Convenzione sui Rifugiati (identificando di fatto tutti i migranti illegali come criminali) e che non è vincolato da norme come quelle della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tutto ciò fa sì che per i migranti che arrivino in territorio libico la garanzia dei diritti umani sia pressoché inesistente.

Gli effetti di tutti questi eventi sono ben visibili e, numeri del Ministero dell’Interno alla mano, riportiamo quanto segue: il mese di luglio ha visto arrivare in Italia 11,459 migranti contro i 23,552 di luglio 2016 (calo del 57%). Il crollo degli arrivi appare ancora più netto nel mese successivo: i dati registrati fino ad oggi, 25 agosto, riportano 2,932 persone sbarcate sulle nostre coste, contrapposti ai 21,294 dello stesso periodo dello scorso anno (all’incirca l’86% in meno).

Secondo una notizia riportata pochi giorni fa dall’agenzia Reuters, dietro al crollo delle partenze dalla Libia ci sarebbe anche l’operato di un gruppo armato che, nella zona di Sabratha, 70 km a ovest di Tripoli, starebbe impedendo le partenze dei migranti. Questo gruppo, citato come “Brigata 48”, starebbe operando in cerca di legittimazione e finanziamenti da parte del governo di Tripoli.

Tutto questo ci rende coscienti di quanto la Libia sia un paese diviso, dove vige grande instabilità: è stata più volte appurata infatti la presenza di gruppi armati e milizie che controllano ampie aree della regione. La gestione del territorio da parte di un governo debole e soggetto a possibile e diffusa corruzione come quello di Serraj, è resa in queste condizioni altamente difficoltosa.

Nel momento in cui vengono bloccate del tutto le partenze verso l’Italia e l’Europa, quest’ultima finisce inevitabilmente per esimersi dagli obblighi di protezione internazionale e diritto d’asilo che le competono, giocando anch’essa un ruolo nella situazione che espone i migranti alle gravissime violazioni dei diritti umani che si consumano sull’altra sponda del Mediterraneo.

VAI ALLA FONTE

MH
MH
X