Palermo (NEV), 2 ottobre 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene dal Centro diaconale La Noce di Palermo, dove si sta svolgendo la conferenza internazionale “Vivere e testimoniare la frontiera”
Noi abbiamo attraversato le frontiere. “We crossed the borders”. Così è iniziato il racconto di Adel e Bandiougou, intervenuti come testimoni diretti di due viaggi profondamente diversi, nel corso della prima serata del convegno organizzato da MH/FCEI su migrazioni, frontiere e accoglienza.
Adel, siriano di Homs, è giunto in Italia dal Libano con i corridoi umanitari insieme alla sua famiglia, con un volo Alitalia; Bandiougou, malese, fa parte dei cosiddetti migranti “minori non accompagnati”, ed è sbarcato a Pozzallo nel 2015, portando con sé solo i vestiti che aveva indosso.
Le loro storie, i loro desideri e ricordi sono stati al centro di un momento forte di testimonianza e incontro con i partecipanti al convegno. Le domande a loro rivolte vertevano sul prima e dopo di quell’attraversamento della frontiera, sul sentimento che hanno provato alla partenza e al loro arrivo in Italia. E’ stata un’occasione per lanciare un messaggio agli italiani, ma anche al mondo, avendo in platea rappresentanti di chiese e organismi di tutta Europa e degli Stati Uniti.
Un’occasione anche per le operatrici impegnate nell’accoglienza e integrazione per spiegare il prezioso lavoro di “costruzione di ponti”, sfidando ogni frontiera, anche quelle mentali.
Adel, nato di nuovo
Mi chiamo Adel, vengo dalla Siria, e sono originario di Homs, ho 34 anni e sono arrivato a dicembre dell’anno scorso con i corridoi umanitari. Ho 5 figli. Qui a Palermo mi trovo molto bene, sono contento perché Palermo mi ricorda tanto la mia città, nelle sue strade, nei mercati, nei quartieri, sono contento perché ho subito iniziato la scuola, ho frequentato la terza media, seguo i corsi di italiano e sono sulla strada dell’autonomia, infatti inizierò un lavoro a tempo determinato che spero mi porti a maggiore indipendenza. Ricordo bene il giorno del mio arrivo, era giovedì 1 dicembre del 2016. Quando sono sceso dall’aereo e ho messo piede sulla terra italiana mi sono sentito nato di nuovo; stavo lasciando dietro un passato pieno di tristezza e sentivo di avere di fronte a me un futuro pieno di motivazione e di speranza.
Prima di arrivare in Italia le nostre condizioni di vita in Libano erano pessime. Abbiamo sofferto molto, io con la mia famiglia, ma anche altri rifugiati siriani. Sono stati tre anni dolorosi; le autorità libanesi hanno imposto un coprifuoco, limitando la nostra libertà di movimento, quindi la possibilità di cercare lavo. Abbiamo attraversato momenti molto pesanti, mi sentivo frustrato.
I primi conflitti hanno indotto molti cittadini siriani (e la mia famiglia, amici, parenti, vicini) a fuggire nel tentativo di raggiungere zone interne alla Siria più sicure, ma con il confondersi dei conflitti e con la diffusione dei combattimenti in zona, la carenza di cibo e di beni di prima necessità, soprattutto per bambini, famiglie, donne e anziani, ci siamo trovati costretti a lasciare il territorio tramite dei trafficanti che ci hanno permesso di attraversare la frontiera. Chi verso il Libano, chi verso la Turchia o la Giordania. Io, insieme a molti altri, mi sono trovato nei campi profughi libanesi. Le condizioni disperate che io e altri abbiamo vissuto nei campi profughi mi hanno fatto pensare più volte di contattare dei trafficanti per attraversare anche illegalmente i confini per raggiugere la Turchia e poi la Grecia. È stato molto difficile, ma una volta riuscito a contattarne uno la somma che ha chiesto era troppo alta e io non potevo garantirla. Purtroppo i trafficanti approfittano della disperazione dei profughi e alcuni che perdono la speranza non hanno altra scelta che rivolgersi a loro. Io ho avuto la fortuna di conoscere gli operatori dei corridoi umanitari e dopo alcuni mesi, ho potuto prendere un aereo per l’Italia insieme alla mia famiglia. Nella valigia ho portato la speranza, i sorrisi dei miei bambini.
Ora voglio fermarmi a ringraziare la “mia” famiglia che mi ha accolto, le operatrici e mediatrici culturali, e Anna (Anna Ponente, direttrice del Centro diaconale La Noce di Palermo, ndr.), che per noi è come una mamma, e tanti altri, che sono la nostra vera grande famiglia. La mia speranza è di avere una totale autonomia, realizzare il mio sogno di essere un buon padre di famiglia con il mio lavoro, la mia abitazione, di poter camminare per le strade di Palermo con la mia libertà, vedere il futuro dei miei bambini, vedere la mia famiglia serena e portare speranza agli altri. Vorrei anche ringraziare tutti gli operatori e gli attivisti che lavorano giorno e notte, che lottano per i diritti umani. Spero che le frontiere si abbattano, che possiamo vivere in pace in un mondo libero, e spero che l’Italia continui a essere un modello per i diritti umani.
Bandiougou, Dio non fa una cosa per niente
Mi chiamo Bandiougou e vengo dal Mali. Sono sbarcato a Pozzallo nell’ottobre del 2015, avevo 16 anni. Mi trovo benissimo a Palermo, faccio la alternanza scuola-lavoro, e faccio parte di un gruppo di teatro.
Quando ho lasciato la Libia guardavo le luci e mi sembrava di non allontanarmi mai, pensavo che non sarei mai arrivato. Quando mi hanno tratto in salvo sulla nave italiana, mi sono sentito subito in Italia; messo piede in terra italiana ero molto commosso, non ci credevo. La certezza di arrivare non l’ho avuta mai; ho ringraziato Dio e mia madre. Dio non fa una cosa per niente, ci sarà una ragione e io mi sento fortunato di essere arrivato in Italia.
Per me la strada è stata molto difficile, prima ero io che dicevo agli altri ragazzi “non andate in Italia! Rischiate di morire, meglio lavorare nei campi”, intanto avevo messo da parte dei soldi, non so nemmeno io come ho deciso di partire, ma a un certo punto ho deciso. Perché sono una persona determinata, non faccio un passo indietro. In Libia c’erano questi bambini con le armi in mano, che insultano tua madre e tu non puoi dire niente, basta uno sguardo sbagliato e ti sparano. Sono arrivato in un campo, ci davano da mangiare un pasto al giorno, poco cotto, allora io mi sono proposto di cucinare per poter mangiare meglio. Eravamo 500 e altri hanno seguito il mio esempio, e quando siamo saliti sulla barca avevamo almeno mangiato bene. Prima, avevo attraversato il Burkina Faso, dove ho sprecato molti soldi; sanno dove stai andando, ti fermano continuamente e devi pagare… Ho attraversato il Niger, dopo il deserto, sono arrivato in Algeria, dove sono stato un anno e sette mesi e poi ho deciso di venire in Italia. Ci sono sempre degli intermediari, per mettersi d’accordo, con le autorità del paese di transito o del paese di arrivo; abbiamo dovuto pagare per attraversare il deserto, sapendo che avrebbero potuto metterci in prigione; ma per i trafficanti siamo come merci da far arrivare a destinazione.
Io non avevo né valigia, né speranza; tutto era incerto, le scarpe che mi ero comprato le ho perse, ci hanno tolto tutto: sul barcone sali senza niente, solo maglietta e pantaloni.
Arrivato in Italia, il mio primo pilastro è stata Valeria alla Casa delle culture di Scicli. Lei mi parlava in inglese, mentre io mi sforzavo di parlare in italiano, ho cercato di imparare subito perché la lingua è la cosa fondamentale. Volevo fare tutto e subito. E Valeria mi diceva “stai tranquillo, troveremo un posto dove potrai trovare la tua strada, con calma”. Poi è venuta Anna, poi volevo tornare da Valeria, avevo nostalgia. Sono passati i mesi, ho vissuto la città, sto bene qui a La Noce, non voglio muovermi da qui, ho trovato una famiglia, se chiedo ad Anna “ho bisogno di questa cosa”, subito si fa, e a tutto si trovano soluzioni. Non posso contare tutte le persone che mi hanno aiutato nel mio percorso, che mi ha portato a occuparmi di teatro, di cinema, di laboratori culturali e creazione artigianale, di poesia.
Non ho mai smesso di muovermi, o ti muovi o sei a terra. Il mio più grande desiderio è che finiscano le guerre nel mondo e che possiamo vivere in pace, senza essere costretti alla fuga, nel rispetto dei diritti umani.
Vi ringrazio per essere venuti qui. So che non siete venuti a vedere uno spettacolo, ma siete venuti a donare il vostro tempo, la vostra disponibilità e il vostro cuore a questa causa. Vi invito a fare del bene, ad aiutare le persone, sempre, non solo le persone che sbarcano ma anche i vostri vicini. Possiamo aiutare anche qui, aiutiamoci l’uno con l’altro, nessuno è sopra, nessuno è sotto, siamo sempre in mezzo, insieme agli altri.
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