L’Infopoint al lavoro, tra mediazione sociale e tutela dei diritti

dell’Osservatorio sulle migrazioni di MH a Lampedusa

Tre mesi fa l’Osservatorio di Mediterranean Hope, il programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), la Fondazione Migrantes espressione della Conferenza Episcopale Italiana,  e la parrocchia di San Gerlando, a Lampedusa hanno aperto un  “Infopoint” per accompagnare e sostenere i migranti di passaggio nell’isola, assistendoli anche sotto il profilo legale.

In questi tre mesi di attività, come abbiamo già raccontato, sull’isola sono cambiante molte cose. In primo luogo, non sono più arrivate persone dall’Africa subsahariana ma quasi esclusivamente dalla Tunisia: ragazzi giovani, disposti anche a forme estreme di protesta pur di non essere rimpatriati.

In secondo luogo, sebbene i media avessero annunciato la temporanea chiusura dell’hotspot di Lampedusa per consentire lavori di ristrutturazione urgenti, a Lampedusa nelle ultime due settimane sono arrivate comunque oltre 200 persone partite dalla Tunisia.

Inoltre, la scora settimana è arrivata la secca smentita della Prefettura di Agrigento all’Avv. Alessandra Ballerini. “Non risulta che sia mai stata disposta la chiusura dell’hotspot di Lampedusa, nemmeno a seguito dell’incendio dolosamente appiccato dagli immigrati tunisini ad uno dei padiglioni, l’8 marzo 2018” scrive il Prefetto di Agrigento, Dario Caputo che continua aggiungendo inoltre che, “non risulta sia stato disposto il cambio di destinazione d’uso della struttura di Lampedusa”.

Ma c’è una terza storia lampedusana che merita di essere raccontata e in cui l’Infopoint ha avuto un ruolo importante che ha inizio con l’avvio, il 25 gennaio, della pacifica protesta che un gruppo di giovani di nazionalità tunisina iniziavano per denunciare apertamente la corruzione del governo tunisino e il timore delle rappresaglie cui sarebbero stati sottoposti in caso di rimpatrio. I giovani tunisini decidevano, pertanto, di richiedere protezione internazionale nominando contestualmente difensore di fiducia l’avvocato di Terres des Hommes, Alessandra Ballerini – che da anni collabora attivamente con l’Osservatorio di MH a Lampedusa.

In meno di tre giorni circa 86 persone venivano convocate innanzi alle due Commissioni territoriali giunte appositamente da Trapani e Palermo. Così per la prima volta a Lampedusa si riusciva – in brevissimo tempo – a ufficializzare la richiesta di asilo e a espletare l’audizione in commissione all’interno dell’hotspot.

Altrettanto velocemente veniva però notificato il rigetto dell’istanza nella quasi totalità dei casi. I richiedenti asilo decidevano così di presentare ricorso all’Autorità Giudiziaria avverso il diniego di protezione sempre con il patrocinio dell’Avv. Ballerini, ottenendo la sospensione del provvedimento di diniego. Dopo qualche giorno, un piccolo gruppo di richiedenti asilo veniva trasferito al CPR di Torino, ma quasi immediatamente rilasciato per mancata convalida del trattenimento disposto dal Questore di Agrigento.

Le condizioni di vita all’interno del centro di Contrada Imbriacola intanto non facevano che peggiorare anche a causa dei costanti arrivi di nuovi migranti dalla Tunisia, tanto da portare alla rivolta dell’8 marzo nel corso della quale veniva appiccato un incendio all’interno della struttura.

Pochi giorni dopo, senza alcun preavviso e senza che di ciò venisse informato il loro legale, un altro gruppo di richiedenti asilo veniva trasferito nel CPR di Torino.  Per alcuni di loro le porte del CPR si aprivano immediatamente per mancata convalida. Per gli altri 24 la Questura chiedeva il trattenimento sul presupposto della loro “pericolosità sociale”, fondata sulla mera presenza all’interno dell’hotspot la notte dell’incendio. Il Giudice del Tribunale di Torino, tuttavia, rigettava la richiesta sul duplice presupposto dell’inammissibile “standardizzazione” dell’elemento della pericolosità affermato per tutti i 24 ricorrenti e della assoluta mancanza di prova sulla sussistenza di tale requisito.

Nel frattempo, anche gli ultimi 47 richiedenti asilo venivano trasferiti in Sicilia verso centri di accoglienza e non di rimpatrio, in attesa che il Tribunale di Palermo decidesse sul loro ricorso avverso il rifiuto della richiesta di protezione internazionale.

Per noi dell’Osservatorio è un risultato importante perché, sin dal nostro arrivo sull’isola più di tre anni fa, abbiamo sentito la necessità di sviluppare un dialogo con i migranti cercando, al tempo stesso, di interpretare il disagio e le preoccupazioni degli isolani. Nel nostro lavoro di mediazione, abbiamo capito quanto è importante condividere con la gente di Lampedusa le storie, i problemi e gli interrogativi dei migranti; al tempo stesso abbiamo avviato delle buone pratiche a favore degli isolani raccogliendo fondi per borse di studio e, più recentemente, mettendo a disposizione dei posti letto a Palermo per famigliari di lampedusani ricoverati o bisognosi di cure nel capoluogo. Solo da questa mutualità, infatti, può nascere una buona pratica di mediazione. Occorre favorire, come l’abbiamo definita, “un’analisi partecipativa” che, attraverso il coinvolgimento della popolazione nella tutela dei diritti dei migranti, smantelli quel meccanismo ideologico tipico delle zone di frontiera che produce la contrapposizione tra “noi” e “loro”. Un muro di contrapposizione di interessi e di interpretazioni che alimenta troppi pregiudizi, troppo razzismo e troppe guerre tra poveri.

MH
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