Volentieri riproponiamo l’articolo di Paolo Pezzati, policy adviser per Oxfam Italia, pubblicato il 23 aprile 2018 sul suo blog dell’Huffpost Italia
Malgrado i leader mondiali siano stati veloci nel condannare gli attacchi sui civili siriani, molti di loro hanno mantenuto nei rispettivi paesi una politica pericolosa e discriminatoria di esclusione dei rifugiati siriani, rifiutando di condividere la responsabilità della loro accoglienza.
Dall’inizio della crisi, sette anni fa, meno del 4% dei profughi siriani è giunto nelle nazioni ricche attraverso i programmi di resettlement.
Alla seconda conferenza sulla Siria, in programma il 24 aprile a Bruxelles, noi di Oxfam chiederemo un impegno maggiore sul fronte dei reinsediamenti come di altre forme di protezione umanitaria dei rifugiati più vulnerabili, pari al 10% della popolazione rifugiata siriana.
La prova di come questo possa funzionare – e imporsi come un modello per gli altri paesi – è rappresentato dal progetto dei “Corridoi umanitari“, il primo concreto esempio di collaborazione tra società civile e un governo europeo, grazie al quale negli ultimi due anni sono giunti in Italia oltre mille rifugiati siriani dal Libano. Il programma consente alle persone di arrivare in Europa attraverso vie legali e sicure per chiedere asilo, senza dover rischiare la propria vita in mare o lungo pericolose rotte via terra.
Noi di Oxfam accogliamo in Toscana, in collaborazione con Diaconia Valdese e Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), profughi in attesa che la loro domanda d’asilo venga esaminata. È un esempio di come le cose possano essere fatte in modo diverso, più umano, cambiando realmente la vita delle persone.
Una vita difficile
Fino a un anno fa due fratelli siriani, Mohammed e Mouhib Al Jarrah, vivevano nella valle della Bekaa in Libano in condizioni terribili (otto persone nello stesso garage). In quanto lavoratori non qualificati venivano sfruttati e sottopagati. Nel 2011 sono fuggiti con la madre, Malak, dalla periferia rurale di Damasco dove erano cresciuti portando con sé niente, a parte i documenti e gli abiti che avevano indosso.
All’inizio della crisi siriana confidavano nel fatto che nel giro di qualche mese gli scontri sarebbero cessati, ma la situazione non faceva che peggiorare e alla fine hanno deciso di scappare in Libano per non finire arruolati nell’esercito.
“Non abbiamo scelto di abbandonare il nostro Paese, siamo stati costretti a farlo – ricorda Mohammed – Non avremmo mai lasciato la Siria volontariamente. Non avremmo mai lasciato nostra madre. È stata una scelta obbligata. Siamo arrivati in Libano in autobus e per fortuna è andato tutto liscio. Siamo riusciti a scappare dalla Siria appena in tempo, prima che la guerra divampasse ovunque”.
Odore di speranza
Nell’èra dei social network, Mohammed ha conosciuto Safa, anche lei fuggita in Libano con la famiglia. Alla fine i due si sono incontrati nella vita reale e, malgrado vivessero in quello che sembrava ormai un limbo infinito, hanno deciso di sposarsi. Intanto Mouhid ha scoperto su facebook i corridoi umanitari:
“Parlavo con un amico di Milano delle condizioni di vita in Libano, di come fosse difficile e così via. È stato lui a raccontarmi di questo progetto dei corridoi umanitari. Sembrava troppo bello per essere vero. Così ho scritto un’email che il mio amico ha tradotto dall’arabo all’italiano. L’ho inviata e dopo una settimana ho ricevuto la risposta”.
Erano passati già cinque anni dall’inizio della guerra in Siria. Mohammed, Mouhib e Safa vengono convocati per un colloquio preliminare e, dopo altri tre incontri, ottengono finalmente l’autorizzazione a lasciare il Libano con la madre, che nel frattempo, tra mille difficoltà, era riuscita a raggiungerli. Via dal Libano, dunque, attraverso una via sicura, senza dover affrontare la traversata pericolosa lungo la rotta del Mediterraneo centrale, la più mortale, dove dall’inizio del 2018 hanno già perso la vita oltre 350 persone.
In Italia, sognando la Siria
Al loro arrivo in Italia, la famiglia Al Jarrah è stata accolta a Torrenieri, in provincia di Siena, dove ricevono il nostro sostegno per integrarsi e iniziare una nuova vita: cure mediche, assistenza legale, lezioni di lingua italiana.
Li ho incontrati nella loro casa, in una via tranquilla durante una giornata assolata di primavera. Mohammed ci ha aperto la porta presentandoci alla famiglia. Poi ci ha chiesto se volevamo caffè “siriano” o la moca. Ovviamente abbiamo scelto quello “siriano”.
“Non abbiamo più paura, qui ci sentiamo al sicuro. È la sensazione più bella – mi dice Mohammed – Tre volte alla settimana seguo le lezioni di italiano e sto cercando un lavoro. Sogno che un giorno mia figlia possa visitare la Siria, la sua patria, e incontrare i parenti. Sogniamo anche di tornare in Siria, siamo qui ma vogliamo tornare. Spero che un giorno potremo ricostruire il nostro paese“.
L'articolo di Paolo Pezzati è stato pubblicato da Huffpost Italia qui.