Mediterraneo: perché il calo degli arrivi non è un dato rassicurante

Tratto da PiuCulture, di Rosy D’Elia, 24/10/2018.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno dal primo gennaio al 24 ottobre sono arrivati sulle coste italiane 21.935 migranti, perlopiù tunisini, eritrei e sudanesi. Nel 2017, prendendo in considerazione lo stesso periodo, ne sono arrivati 111.244. In un anno gli arrivi sono calati dell’80,28%, “un dato che indica uno spostamento della frontiera in Libia. Non è un fenomeno che si sta estinguendo: siamo bravi a nasconderlo e ad allontanarlo. Il calo degli arrivi è un campanello d’allarme, non è un merito”, dice Marta Bernardini, operatrice a Lampedusa per Mediterranean Hope, il programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che vivono sull’isola di Lampedusa e mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima accoglienza e mediazione con i migranti.

Nel Mediterraneo centrale si registra il numero maggiore di morti, ed è in aumento

“Oggi la rotta del Mediterraneo non è controllata: non sappiamo i numeri di chi viene portato in Libia e di chi non viene mai trovato” e non fa numero neanche nella conta dei morti, che in proporzione continua ad aumentare. Secondo i dati OIM, infatti, nel 2018 il 3,2% delle persone che hanno provato ad attraversare le frontiere via mare, ovvero 40.027, hanno perso la vita, nel 2017 la percentuale era al 2,1. E la rotta del Mediterraneo centrale si conferma come la più pericolosa per chi si mette in viaggio: a Est (Grecia) lo 0,3 % e a Ovest (Spagna) lo 0,9% dei migranti che provano ad arrivare via mare perdono la vita.

Nel 2018 il numero di persone intercettate dalla Guardia Costiera Libica ha superato quello delle persone approdate in Italia

Ma nel Mediterraneo oltre la vita e la morte c’è una terza via, quella del ritorno all’inferno. Carlotta Sami portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Uniteper i Rifugiati, riprendendo i dati pubblicati dal collega Vincent Cochetel in un tweet, ha dichiarato che dal primo gennaio 2018 ad oggi il numero di persone intercettate dalla Guardia Costiera libica (14.500) ha superato quello di chi è riuscito ad approdare in Italia (12.543). Essere intercettati dalla Guardia Costiera Libica vuol dire tornare nei centri di detenzione: “Le persone che arrivano qui oltre alle testimonianze orali ci portano le testimonianze fisiche di ciò che accade in Libia. Sono i segni sui loro corpi”, dice Marta Bernardini che, con altri operatori dell’Osservatorio Mediterranean Hope, ha raccolto le voci di chi arriva a Lampedusa dalla Libia: “Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le 4 porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all’aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna”.

I soccorsi in mare si fanno sempre più complessi

È in posti come quello descritto da Nour che porta la rotta verso la Libia. Eppure la terza via, quella del ritorno forzato, diventa sempre più trafficata, mentre il mare si svuota di mezzi di soccorso. “Il numero delle ONG in mare è estremamente ridotto, per molte settimane può non esserci nessuno. Fino a qualche giorno fa c’eravamo noi e Astral, la nave di Open Arms, che adesso siamo fermi per una sosta tecnica prima di partire nuovamente”, dice Federica Mameli di Mediterranea, che dal 4 ottobre opera in mare con una nave italiana attrezzata per svolgere un’azione di monitoraggio e di soccorso.

“L’accordo con la Libia è il segno della volontà che nessuno sia in mare per vedere cosa accade: sta succedendo che, da mesi, le poche imbarcazioni che partono dalla Libia o si inabissano o vengono portate indietro. Ci sono stati un paio di casi di barche in difficoltà e la volontà chiara di non fare arrivare noi, per non avere poi il problema di dover trovare un porto sicuro. E questa è un’azione coordinata dal governo italiano ed europeo”, continua Federica Mameli. Navigare nelle acque del mare nostrum non è più così semplice per le ONG: il Mediterraneo è diventato un deserto in cui le autorità italiane ed europee hanno fatto un passo indietro ridimensionando drasticamente le operazioni di soccorso e la guardia costiera libica sta guadagnando sempre più terreno.

I numeri parlano chiaro: gli arrivi diminuiscono sempre di più. Ma i fatti e le storie, come quella di Nour, suggeriscono un’interpretazione sempre meno rassicurante.

MH
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