Insicuri, fuorilegge per terra e per mare

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(NEV) Da Tripoli a Lampedusa passando per il Mediterraneo

Nour disegna su un foglio di carta il carcere in cui era rinchiusa. E un mese fa ci racconta di come ogni sera le donne venissero prese e violentate ripetutamente. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all’aborto. “Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna”. Viene fatta partire solo lo scorso novembre insieme ad altre 34 persone.

Jama, sudanese, lo scorso novembre è finito in acqua insieme ai suoi compagni nel disperato tentativo di raggiungere un’imbarcazione da pesca non molto lontana dal gommone su cui viaggiava. Accanto a lui un ragazzo è scomparso, inghiottito dalle onde. I pescatori di Mazara del Vallo dopo un secondo di esitazione hanno preso a bordo lui e altre 41 persone e li hanno condotti sani e salvi a Lampedusa. L’equipaggio del peschereccio ha deciso di proteggere i migranti, respingendo l’idea di riconsegnarli ai libici, nonostante le conseguenze che ciò avrebbe potuto comportare.

Abukar è somalo. È appena arrivato a Lampedusa dopo aver passato gli ultimi due anni in Libia. Non sa quando è nato ma crede di avere circa venti anni. Racconta di aver vissuto a lungo senza vedere la luce del sole, prigioniero in un garage sotterraneo, sepolto vivo insieme ad altre 150 persone: uomini, donne e bambini. Ricorda di aver supplicato la famiglia di pagare un riscatto per tirarlo fuori di lì. Tuttavia, ogni liberazione precedeva una nuova prigionia all’interno di un posto non molto diverso dal precedente. Mostra le cicatrici sul corpo. Tutti i giorni veniva picchiato dalle guardie e a volte veniva torturato con l’elettricità. Diversi suoi compagni dopo aver subito quei trattamenti non sono stati mai più visti.

Tutti in pericolo per terra e per mare. Da Tripoli a Lampedusa passando per il Mediterraneo. Nonostante si moltiplichino le testimonianze, raccolte anche dagli operatori di Mediterranean Hope, di torture, detenzione, rapimenti, sfruttamento e stupri la Libia continua ad essere considerata un porto sicuro mentre l’Italia insiste in una politica di respingimenti, porti chiusi e criminalizzazione dei soccorsi.

Sul continente intanto la sicurezza è un mantra continuamente e ripetutamente invocato; il decreto-legge immigrazione e sicurezza prevede la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e progetta restrizioni per migranti e centri d’accoglienza. Già negli ultimi giorni si iniziano a registrare decine di casi di persone con regolare permesso di soggiorno cacciate dai centri di accoglienza. Secondo le stime, saranno oltre 50.000 coloro che subiranno questa sorte.

Ma la parola solidarietà non è sparita dal linguaggio di sindaci e amministratori locali che esprimono con chiarezza tutta la loro contrarietà a leggi sbagliate e irrispettose dei diritti umani.

E in mare, pescatori di tutte le marinerie del Mediterraneo sfidano silenziosamente le direttive italiane, maltesi e libiche continuando a prestare soccorso alle imbarcazioni che raggiungono le coste d’Europa.  Ed è a partire da queste testimonianze che possiamo costruire un fronte delle coscienze che sappia coniugare il rispetto ai principi costituzionali con il dovere dell’umanità.

Mediterranean Hope/Lampedusa

*Tutti i nomi presenti nell’articolo sono stati cambiati per tutelare l’identità delle persone intervistate

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