La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” è stato scritto da Marta Bernardini ed è una riflessione sulla sua esperienza, alcuni anni fa, al confine tra Messico e Usa
Roma (NEV/Riforma.it), 20 maggio 2020 –
«E anche affinché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito celeste, tu non ti senta attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto, perché quelle sono le cose che il SIGNORE, il tuo Dio, ha lasciato per tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli.» (Deuteronomio 4,19)
Una volta alla settimana mi svegliavo un po’ prima dell’alba. Aprivo gli occhi e guardavo subito verso la finestra dove intravedevo il cielo schiarirsi lentamente. Salita in macchina, mentre guidavo verso il luogo del nostro solito appuntamento, con un thermos di bollente caffè americano accanto, rimanevo in contemplazione di quel paesaggio. Strade enormi e quasi vuote, per lo più deserto e cactus intorno a me, lo sguardo poteva estendesi lontanissimo, dove poi si scorgevano i canyon. E quella volta a settimana, a ogni sorgere del sole pensavo: «Quanto cielo! Non ho mai visto così tanto cielo!».
Tra il 2015 e il 2016 ho vissuto per quattro mesi a Sahuarita, una piccola cittadina nel deserto di Sonora in Arizona, molto vicino al confine con il Messico. Sono arrivata negli Stati Uniti grazie alla relazione tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e la sorella United Church of Christ (UCC). Il lavoro che la FCEI aveva iniziato l’anno prima a Lampedusa con Mediterranean Hope aveva molte affinità con quello che la chiesa The Good Shepherd della UCC e il gruppo umanitario dei Samaritans svolgeva al confine tra Stati Uniti e Messico. Così, passando da una piccola isola nel mar Mediterraneo a una comunità nel deserto dell’Arizona, ho potuto fare una delle esperienze più intense e arricchenti della mia vita. Sono stata accolta nella casa di Randy, pastore della comunità, e Norma Mayer che sono diventati per me una seconda famiglia. Ho passato con loro, i loro splendidi famigliari e amici, momenti di semplice quotidianità ma anche di grande convivialità e festa, da Natale a Pasqua. Per me c’è sempre stato un posto speciale: la calza sotto l’albero, un posto a tavola, una stanza tutta mia, una passeggiata insieme, il cartellino con il mio nome da mettere ogni domenica durante i due culti nella chiesa, una tazza di caffè caldo, un pranzo con il gruppo giovani, inviti a cena dalle persone della comunità, un sedia in prima fila a un concerto, un posto in macchina con le missioni dei Samaritans, un viaggio comunitario sull’oceano, un momento di silenzio condiviso con i miei nuovi amici guardando l’orizzonte. Ogni settimana era per me una benedizione: ero partita con tante speranze, aspettative e anche timori e avevo trovato una casa, una famiglia, una chiesa, una comunità di attivisti, degli amici e delle amiche, tante storie da ascoltare, tante da raccontare e ancora di più da vivere. In quei mesi ho ricevuto moltissimo affetto e stima, le persone mi accoglievano con grande spontaneità, volevano sapere di me, della nostra piccola chiesa in Italia, delle persone migranti che arrivavano sulle nostre coste, di quello che accadeva a Lampedusa e di come questo ci stava trasformando. Perché quella dove mi trovavo era una terra di frontiera, una borderland, e ho sperimentato anche cosa significava essere una chiesa di frontiera.
I Samaritans, instancabilmente, con grande professionalità e organizzazione, ogni giorno si dividevano in gruppi che svolgevano diverse attività: missioni nel deserto, per offrire soccorso alle persone che tentavano la traversata, superato il confine con il Messico; missioni che percorrevano i tragitti più battuti per mettere taniche di acqua, qualche vestito e del cibo; c’era chi andava oltre il confine, a Nogales, a dare una mano in un rifugio per migranti deportati o in attesa di provare il passaggio al di là del muro; c’era il gruppo che seguiva nei tribunali i processi per chi veniva accusato di immigrazione illegale, persone letteralmente in catene e divise da criminali. E ogni lunedì mattina, con quella tazza di caffè bollente in mano, ci trovavamo nella chiesa per fare il resoconto delle attività, condividere riflessioni, programmare le azioni future. Spesso incontravo gruppi che venivano da diverse parti degli Stati Uniti per conoscere quelle terre di frontiera, io mi univo alle visite e poi c’era sempre un momento in cui raccontavo quello che succedeva da noi, nel Mediterraneo. Il mare e il deserto erano così dolorosamente simili. Al rifugio di Nogales incontravo tante persone che mi raccontavano le loro storie. Appena avevano saputo che ero italiana, molti mi cercavano e iniziavamo queste conversazioni tutte particolari, un misto di spagnolo, italiano, mani che si muovevano e occhi che valevano più di mille parole. “Ehi chica italiana”, mi chiamavano, e con un gesto mi trovavo in un flusso senza fine, dove finalmente si poteva sconfinare, superare muri, deserti, barriere e prigioni. Poi le missioni nel deserto. Ore sul pick-up in quattro a guardarci intorno, a cercare di scorgere un respiro tra la sabbia, i cactus, i cespugli, e il sole a picco. E quel giorno che incontrammo Ernesto, stremato, in cammino da un numero indefinito di giorni, da solo e senza più acqua. La sera, poi, quando tornavo a casa c’era sempre una famiglia, un posto a tavola, una stanza tutta per me, una chiesa, gli amici, una comunità. Prima di addormentarmi mi ripetevo quanto ero grata e alzando lo sguardo pensavo «Quanto cielo! Non ho mai visto così tanto cielo!».
I Can See Clearly Now (by Johnny Nash)*I can see clearly now the rain is gone
I can see all obstacles in my way I think I can make it now the pain is gone Look all around, there’s nothing but blue skies I can see clearly now the rain is gone |
Riesco a vedere chiaramente ora (di Johnny Nash)*Riesco a vedere chiaramente ora che la pioggia è passata Riesco a vedere gli ostacoli sulla mia strada Sono passate le nuvole scure che mi rendevano cieco Sarà una luminosa, luminosa, giornata di sole Sarà una luminosa, luminosa, giornata di sole Penso di farcela ora che il dolore è passato Ecco l’arcobaleno per cui avevo pregato tanto Guardati intorno, non c’è altro che cielo azzurro Riesco a vedere chiaramente ora che la pioggia è passata |
* Questa canzone era una delle mie preferite che le sorelle Lisa e Diane della chiesa The Good Shepherd, con le loro voci incredibili, cantavano durante il culto domenicale.