Dalla Tunisia a Lampedusa, “siamo tutti migranti” e “viaggiare è un diritto”

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è la testimonianza di un giovane tunisino

“Sono tunisino, residente dal 2015 in Francia, a Parigi, torno in Tunisia ogni 4 mesi.
Sono partito per vedere altri posti, altre realtà, e avere una vita migliore.
Dopo aver maturato una formazione artistica in Tunisia, mi sono interessato alla forma dei video, diventando videomaker.
Durante i miei viaggi in Europa ho avuto l’impressione di non essere trattato allo stesso modo di tante altre persone, non come i bianchi e i ricchi.
Questo trattamento mi ha spinto verso una riflessione, anche artistica, su tale questione, la migrazione.
Sono convinto che la Storia si basi sui movimenti delle persone e dei popoli e senza questo movimento, che qualifico come organico, non avremmo avuto alcuna Storia.
La Storia mi ha appunto riportato a Lampedusa, la storia dell’isola, la storia del mio villaggio nel sud della Tunisia e la storia dei miei cugini migranti che vivono a Parigi e che hanno tutti delle storie in comune con Lampedusa.
Quando sono arrivato sull’isola i miei amici tunisini che lavorano sulla questione migratoria mi hanno segnalato l’esperienza di Mediterranean Hope: ho incontrato in questo contesto persone che conoscono bene la storia e che lavorano affinché tutti abbiano diritto ad averne una, di storia.

Ho trascorso il lockdown in Tunisia, in un villaggio, senza mascherine, senza distanziamenti sociali e senza restrizioni, ma con molte paure, poiché la Tunisia sta attraversando crisi politiche ed economiche ricorrenti.

Con molti debiti, molta disoccupazione e meno infrastrutture. Con un sistema scolastico insufficiente, il Paese soffre.

Una tra le principali cause delle ultime migrazioni è innanzitutto il barbaro intervento della Nato in Libia.
Poi c’è il debito dei paesi poveri, l’interferenza dei paesi “forti” nei paesi “deboli”. Il motivo è il mercato delle armi.
Senza la vendita di armi, diversi paesi “forti” diventano meno ricchi e meno “forti”, per questo portano inevitabilmente a guerre, conflitti, complotti e colpi di stato per creare ed alimentare il mercato delle armi.
Non dobbiamo allora dimenticare che viaggiare è un diritto.
Non dobbiamo dimenticare che tutte le persone sono migranti.
Non bisogna dimenticare che il vero clandestino è colui che sfrutta i lavoratori, li tratta male, li paga male, non li mette in regola e quindi non paga o paga meno le tasse.

Il mio nome è lo stesso di diversi annegati nel Mediterraneo, la mia foto è ancora sulle copertine dei giornali allarmisti.

La vergogna è un sentimento profondamente politico. È più forte dell’indignazione. Dopo un po ‘smetti di indignarti, vai al ristorante, mangi, dimentichi. La vergogna resta, come una macchia sulla pelle. Dobbiamo reagire. La vergogna non è tollerata, ma il tempo da solo non basta per cancellarla: ci addormentiamo con essa, e quando ci svegliamo la mattina, la vergogna è ancora lì, tenace. Mi vergogno, ad esempio, che il Mar Mediterraneo sia diventato questo luogo di morte. Mi vergogno di essere un contemporaneo di tutti questi naufragi nel mare calmo. Questo è ciò che mi spinge ad agire, ha detto Erri De Luca”.

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