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Giacomo Russo Spena

“Contro le stragi in mare, subito un corridoio umanitario”

Il Mediterraneo, un cimitero liquido di corpi respinti, umiliati, seviziati: uomini, donne, bambini nei fondali del mare. Un corridoio umanitario, l’idea per salvare migliaia di persone in fuga da guerre, carestie ed epidemie. E arginare la barbarie. La nostra barbarie. Il progetto si autofinanzierebbe con l’8 per mille, senza gravare minimamente sulle casse dello Stato.

La Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Comunità di Sant’Egidio – i promotori della campagna – ritengono il corridoio umanitario una “buona pratica”, un intervento indispensabile per salvare vite e rompere le barriere fisiche ed ideologiche tra il “noi” e “loro”. Senza la pretesa di risolvere l’annosa questione, la proposta assume un significato politico: consolidare l’impegno italiano e di altri Paesi europei ad evitare l’atrocità delle morti in mare. Restiamo umani.
Ma guai a tacciare il progetto di buonismo, termine in gran voga. “La nostra posizione è semplicemente realista”, replica Paolo Naso, valdese, professore in Scienza politica alla Sapienza di Roma. “Bloccare i flussi è un’illusione ipocrita, politicamente insensata, venduta in maniera propagandistica dalle destre xenofobe. Oltre a venire meno ai principi di solidarietà e ai diritti umani sanciti dalla nostra Costituzione – continua – è impossibile la paralisi delle migrazioni frutto di guerre e persecuzioni. La disperazione è più forte di qualsiasi muro”.

In tale scenario globale, l’Occidente non è esente da responsabilità avendo aumentato l’instabilità politica di intere aree. Le geometrie delle alleanze diplomatiche, in questi anni, sono state variabili e dinamiche: ora si coopera con Stati che erano considerati “canaglie” per isolare i fondamentalisti islamici; si esaltano i rivoltosi contro regimi dittatoriali, precedentemente partner economici; si armano popolazioni, considerate terroriste fino a poco tempa fa, in difesa del diritto ad esistere come minoranze etniche e confessionali. Così i recenti bombardamenti umanitari (ossimoro per eccellenza) in Libia hanno aumentato, secondo i dati dell’Unhcr, i numeri di rifugiati in viaggio verso l’Europa. Una quota, di oltre 10 per cento, è rappresentata da minori non accompagnati. Tantissimi. E anche il numero delle donne sole è salito.

“Proponiamo un’accoglienza a costo zero per lo Stato, un modello esportabile in altri Paesi”, spiega Paolo Naso, portavoce della campagna Mediterranean Hope, iniziata lo scorso anno, sempre grazie ai finanziamenti derivanti dall’8 per mille, con un progetto umanitario e sociale, teso all’accoglienza e all’avvio all’integrazione dei profughi che intendono restare in Italia. Ora il, necessario, corridoio umanitario che avrà un costo di 500mila euro. “Ci stanno arrivando molto richieste di partenariato internazionale, è un segnale di speranza. L’opinione pubblica preme per i canali umanitari dall’Africa”, rende noto la Fcei dando la massima trasparenza sui conti. Altre Chiese protestanti in Spagna, Olanda, Germania, Austria sono interessate ad importare il modello italiano. E stanno finanziando la campagna di Mediterranean Hope. Monta la proposta del corridoio umanitario.

I primi volontari sono in partenza il 20 maggio alla volta di Rabat e Tangeri, due città del Marocco. Da lì partirebbe il primo corridoio umanitario. Le ambasciate avranno un ruolo fondamentale con il compito di ricevere le richieste e riconoscere dei visti in regime di protezione umanitario. Nello specifico, si tratterebbe di aprire nei Paesi da cui partono i migranti, in accordo con le ambasciate italiane, un canale dedicato per ottenere visti per motivi umanitari. Una volta ottenuto, il soggetto richiedente potrà imbarcarsi su un volo regolare e, all’arrivo in Italia, richiedere asilo. Evitando carrette del mare e scafisti.
Il “progetto pilota” dei valdesi si appella ad un cavillo legislativo delle norme europee: un regolamento istituirebbe il Codice comunitario dei visti, vale a dire la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”.

Intanto in un recente sondaggio Ipsos emerge che l’immigrazione sia sovrastimata (1/4 del campione ritiene che 1 cittadino su 2 in Italia sia di origine straniera) e considerata un costo per i contribuenti (quasi il 70% del campione). Alle forme della paura e alla discriminazione razzista vanno attribuite una specifica densità politica, necessaria allagovernance per gestire la crisi, e sociale, costitutiva dei rapporti di produzione: non è un mistero che la Lega parli alla pancia del Paese foraggiando la “guerra tra poveri”. Una psicosi da invasione, i numeri dicono altro.

Secondo le Nazioni Unite – come riportato da Internazionale – i migranti sono in aumento dal 1990, anche se sono solo il 3 per cento della popolazione mondiale: “Non siamo in una situazione di emergenza, è difficile, ma strutturale”. Per quanto riguarda i numeri, i migranti arrivati in Italia nei primi quattro mesi di quest’anno sono meno di quelli arrivati nello stesso periodo del 2014. Secondo l’Unhcr, tra gennaio e aprile del 2015 sono arrivati in Italia 26.165 migranti, mentre negli stessi mesi del 2014 ne erano arrivati 26.644. Gli arrivi sono pressoché identici, ad aumentare le morti in mare per la sospensione di Mare Nostrum archiviato per motivi prettamente economici. I dati del ministero dell’Interno sull’esito delle operazioni di salvataggio effettuate dalla Marina Militare e dalla Guardia Costiera nell’ambito di Mare Nostrum riportano numeri superiori alle 110mila persone, per un costo di circa 10milioni di euro al mese, con un trend di “sommersi” nei fondali marini inferiore rispetto ad oggi. Da Mare Nostrum si è passati a Triton, al pattugliamento delle coste dell’area Schengen e alla guerra agli scafisti con la possibilità di bombardamenti in mare.

Quale risultato ha portato l’abbandono di Mare Nostrum? Un semplice, e ovvio, incremento del traffico di essere umani da parte degli scafisti. I migranti si rivolgono a loro, non viceversa, pagando cifre spropositate e mettendo a rischio consapevolmente la propria vita pur di raggiungere l’Europa. Gli scafisti farebbero affari d’oro nel mercato aperto dal controllo delle frontiere esterne ed esistono perché chi fugge da guerre o povertà non può entrare nello spazio Schengen con mezzi di trasporto ordinari (navi, aerei, macchine).

In questi giorni a Bruxelles si discute delle politiche migratorie in vista dell’estate. Il piano dell’Unione Europea si basa su tre pilastri: aumento della dotazione finanziaria per Triton e Poseidon, le missioni militari che intercettano i barconi dei trafficanti; un piano di redistribuzione dei migranti fra i paesi europei in base alle possibilità economiche e alla popolazione di ogni Paese; la successiva elaborazione di una azione militare per distruggere i barconi degli scafisti prima che partano. Sulle quote c’è ancora grande confusione, trattandosi di un parziale superamento del regolamento di Dublino (trattato che obbliga al migrante di rimanere nel primo Stato europeo in cui mette piede).

“Ha ragione chi, in questi giorni, sta richiamando l’Unione europea a misurarsi, finalmente, con una visione olistica dell’immigrazione, a smetterla, perciò, di osservarsi attraverso un binocolo rovesciato che la rappresenta come un fortino assediato – ha scritto recentemente Marcella Lucidi sul sito Italiani Europei – C’è da scegliere se rimanere esclusi dai grandi processi in atto, in attesa che altri sollecitino relazioni, cambiamenti o conflitti, investano sulle risorse o sulla crescita dell’economia africana o, diversamente, la sfruttino, o se entrare in quei processi con una politica estera comune, che collochi l’Europa in un sistema di alleanze utili a gestire le più gravi situazioni di crisi, tra le quali quelle che interessano il Mediterraneo e, specialmente, la Libia”. Gli stessi valdesi non si reputano soddisfatti per le ultime misure dell’UE: “Troppo poco”. Sono pronti a partire col progetto del corridoio umanitario. Un’urgenza. Una scelta di civiltà.

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