Europa: forte con i deboli e debole con i forti

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Intervista a Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero, Università di Palermo. Che giudizio dà sulle proposte che l’Europa sta portando avanti in questi giorni? Nello specifico sulla decisione di distruggere i barconi in Libia e sulle quote che suddividerebbero i migranti nei diversi paesi europei? L’Europa si sta dimostrando forte con i deboli e debole con i forti. Non è stata capace di adottare una politica europea in materia di asilo e di controllo delle frontiere.

C’è stato un trasferimento dalle politiche di immigrazione alle politiche di sicurezza scavalcando il Parlamento Europeo, facendo decidere su questo argomento a pochi ministri riuniti a Bruxelles come è successo in questi giorni. Del piano complessivo varato dalla Commissione e inoltrato dal Parlamento sembra essersi persa traccia, si parla soltanto di intervento in Libia, specificando che sono tre le fasi di intervento: in acque internazionali, primo punto che sembra già deciso, poi l’intervento in acque libiche e in territorio libico per le quali si aspetta una copertura da parte delle Nazioni Unite, che forse non arriverà mai. Distruggere i barconi è un’ipotesi avventuristica che produrrebbe effetti collaterali, come l’uccisione di pescatori e forse anche di migranti che potrebbero trovarsi a bordo di questi mezzi. Purtroppo, però, a livello mediatico questa proposta di intervento ha fatto breccia, le elezioni sono vicine e qualcuno si sta gloriando di una risposta forte data dell’Europa, avvenuta su impulso italiano, cosa che non è assolutamente vera. C’è anche molta confusione sull’aspetto dell’accoglienza, punto forte sul quale puntava la politica italiana ed europea. Alcuni Paesi dell’est hanno detto chiaramente che non intendono prendere un solo profugo in base a criteri di distribuzione. L’Europa ha proposto di fare un grande sforzo per 20.000 persone in due anni, che sarebbero state alcune centinaia per ciascun paese europeo, ma anche questo è sembrato troppo. Il piano su tale aspetto sta fallendo, a maggior ragione dopo che Francia, e successivamente Spagna, hanno dichiarato anche loro di non condividere il criterio di ripartizione dei profughi. L’ultima parte che per ora è lasciata in secondo piano, ma che comunque è preoccupante, è il Processo di Khartoum. Questo ha come proposito da parte degli Stati europei, e dell’Italia in particolare, di utilizzare i paesi di transito, come Libia, Niger e Sudan, come partner per le politiche di respingimento e di selezione dei profughi, favorendo un mercato per quei trafficanti che a parole si vogliono combattere. Il Processo di Khartoum significa quindi fare accordi con le dittature per bloccare i movimenti dei migranti che cercano di scappare da guerre, oppressioni e carcere. Come spiegava lei, prima di arrivare al punto di distruggere i barconi in Libia ci vorrà la decisione finale dell’Onu, ma se questa non arrivasse l’Italia come potrebbe muoversi? Se l’Onu non appoggiasse la proposta, lei come vedrebbe l’evolversi della situazione? Se l’Onu non appoggia questa proposta, l’Unione Europea non ha strumenti legali per intervenire in acque e territorio libico, soprattutto in presenza di una posizione forte e concordante di entrambi i “governi” che attualmente si dividono la Libia. Tanto il governo di Tripoli quanto quello di Tobruk hanno fatto sapere agli europei che considererebbero un atto di guerra qualunque intrusione negli spazi che sono ancora nella loro sovranità nazionale. C’è anche da dire che se le trattative di pace non vengono sostenute e se si alimentano le spinte autonomiste fornendo armi o dando appoggio politico soltanto a una delle due parti, cosa che in base all’embargo sta continuando a succedere, il rischio che la Libia diventi un’altra Somalia nel Mediterraneo è reale. Al momento, tuttavia, non ci sono le condizioni per poter dichiarare la necessità di un intervento in base alla Carta dell’Onu. Quindi io credo che a livello di Consiglio di Sicurezza non ci sarà una decisione favorevole all’intervento militare dell’Unione Europea. In questo quadro da lei delineato, cosa pensa degli interventi che ultimamente ha compiuto la Guardia Costiera libica per recuperare e arrestare dei migranti che stavano cercando di raggiungere l’Europa? Tale azione evidenzia come le diverse autorità libiche cerchino di accreditarsi con i Paesi europei, dimostrando che controllano il territorio, che possono fermare i migranti che partono dalle loro coste, cercando in questo modo di ottenere risorse, finanziamenti, supporto politico rispetto alle loro pretese di prevaricare l’altra parte. Al momento non ci sono le condizioni per considerare la Libia un partner per le politiche di controllo delle frontiere. Si dovrebbe invece dare la priorità assoluta al salvataggio delle persone che fuggono, all’apertura di corridoi umanitari con la concessione di visti per l’ingresso protetto in Europa, a una tutela legale delle persone che dovrebbero essere evacuate dalla Libia verso i paesi confinanti dai quali farle poi partire verso l’Unione o altri paesi del mondo. Come Federazione delle chiese evangeliche in Italia, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, stiamo lavorando sulla proposta di aprire un “Humanitarian Desk” a partire dal Marocco. Lei pensa che questo possa essere un segnale utile che potrebbe avere seguito? Questo è un segnale che dimostra che è possibile creare dei canali umanitari. Ovviamente ciascun paese è diverso dall’altro. Voglio ricordare che il Marocco aderisce alla Convenzione di Ginevra, come l’Egitto o l’Algeria, ma questi sono paesi che continuano a respingere migliaia di persone che hanno tutti i requisiti per essere dichiarati rifugiati. Inoltre, molti migranti, non ambiscono più ad arrivare in Europa perché sanno che non è un continente nel quale la possibilità di sopravvivenza dignitosa è garantita, come poteva essere dieci anni fa. Oggi c’è attenzione verso i paesi del Nord America, gli Stati Uniti, il Canada e anche verso il Sud America. Si potrebbe pensare quindi a un piano delle Nazioni Unite di ridislocazione delle persone che sono state costrette a fuggire dal loro paese, verso paesi che offrono delle condizioni minime di accoglienza dignitosa, cosa che è tutta da verificare in Europa e in Italia, anche alla luce di fatti recenti come quelli di Ponte Mammolo a Roma. MH sta sempre di più riflettendo sull’aspetto politico dello squilibrio tra Nord e Sud del mondo e sulle contraddizioni che questo produce nel Mediterraneo. Qual è la sua visione in questo senso? È evidente che la crisi globale è lontana dall’essere superata. È una crisi che oggi ha bisogno della guerra per regolare i rapporti tra Stati e i rapporti sulla mobilità delle persone. Intanto è una guerra che si dichiara agli scafisti, con il rischio di avere effetti devastanti se passerà da guerra ai trafficanti a guerra nei paesi nei quali i trafficanti si trovano, senza incentivare soluzioni politiche, senza cercare il modo per garantire diritti umani nei paesi di transito, preoccupandosi soltanto di impedire le partenze. Lampedusa, Agrigento (NEV), 20 maggio 2015 A cura di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi

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