La sconfitta dell’Italia, l’illusione dell’Europa

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di Paolo Naso Questa volta nessuno potrà dire che il bicchiere è, almeno per metà, pieno. E’ vuoto e basta. I risultati dell’ultimo vertice europeo sulle migrazioni di fine giugno ha confermato che questa Europa non ha né il cuore né il cervello politico per gestire in termini efficaci e realistici i flussi migratori dal Nord Africa e dal medio Oriente. I “risultati” sono noti, e tutti al di sotto delle aspettative: 40.000 persone saranno “ricollocate” in paesi UE diversi dall’Italia e dalla Grecia la cui quota migratoria sarebbe così alleggerita, rispettivamente, di 24.000 e di 16.000 unità. In due anni. Quanto ai resettlement di rifugiati già riconosciuti ma ancora sulla sponda sud del Mediterraneo, è stata stabilita una quota di 20.000 unità. Tutto queste mentre lo scorso anno, soltanto in Italia, sono arrivate 170.000 persone e quando nei campi profughi della Libia stazionano da anni un milione di rifugiati. Inoltre si vara “EuNavFor Med” una missione militare navale per la distruzione delle imbarcazioni utilizzate dagli scafisti. Non una parola sul Regolamento di Dublino che impone al richiedente asilo di permanere nello Stato in cui ha avanzato la domanda sino al riconoscimento dello status di rifugiato: una norma che affida all’Italia decine di migliaia di persone che in buona parte non hanno alcuna intenzione di restare nel nostro Paese e che, al contrario, hanno catene parentali e di amicizie che potrebbero facilitare il loro insediamento in altri paesi. Per dirla schematicamente, l’Italia ha perso mentre ha vinto l’Europa degli egoismi e delle paure. Il blocco intransigente di alcuni paesi dell’est Europeo impegnati in politiche di chiusura sempre più ermetica dei confini, la rigidità di paesi come la Francia e la Spagna, il tatticismo di altri paesi preoccupati delle loro opinioni pubbliche nazionali hanno trasformato un’agenda impegnativa – quote obbligatorie per ogni paese – in un’ennesima trattativa prevedibilmente al ribasso: ognuno farà quanto potrà e vorrà. E così, a parte il premier italiano, tutti gli altri sono tornati a casa rassicurati e contenti per non aver ceduto alle pressioni della Commissione e delle agenzie umanitarie. La replica arriva immediata, con gli sbarchi che continuano e che attestano con dura evidenza che quelli che in questi anni arrivano dal Nord Africa e del Medio Oriente non sono ordinari flussi migratori. Sono una cosa diversa, la cui radice è nel tracollo di ampie aree geopolitiche che non hanno più un centro, un governo, un’organizzazione statale in grado di garantire la sicurezza di milioni di persone. In questo quadro, l’intenzione di distinguere tra “migranti economici” e “rifugiati” esplicitata dal premier Renzi è una finzione o una illusione. Mai come in questi anni le due categorie si compenetrano e pretendere di distinguere chi scappa per fame e chi fugge perché perseguitato è un esercizio cinico e non realistico. Forse tranquillizza l’opinione pubblica ma nei tempi lunghi si rivelerà una inutile ipocrisia. Le migrazioni sono la punta di un iceberg che l’Europa non sa come affrontare e, quando ci prova, ricorre a espressioni confuse dietro le quali stanno progetti ancora più incerti. Che cosa significa, infatti, “rimuovere il problema a monte”, “svolgere azioni militari di contrasto”, “intervenire nei paesi di emigrazione”? Nessuno lo dice esplicitamente ma intanto si avvertono i rombi dei caccia militari e la messa in allarme di qualche nave al largo della Libia. Una guerra, anche se nessuno lo dice. Ma per fare che cosa? Contro chi? E con quale legittimità? Lo spettro che si aggira per l’Europa è l’Europa stessa, con le sue paure, la sua confusione e le sue velleità. Non se ne accorgono a Bruxelles ma ciascuno di noi lo può vedere nelle immagini di un qualsiasi telegiornale che abbia l’onestà di raccontare quello che accade a Lampedusa o a Ventimiglia.

MH
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