La Repubblica

Tullio Filippone e Giorgio Ruta

Sulla Repubblica Tullio Filippone e Giorgio Ruta ci raccontano la vita dei ragazzi migranti in Sicilia. L’isolamento e la noia ma anche la speranza data da molti progetti attivi sul territorio tra cui anche la Casa delle Culture di Mediterranean Hope a Scicli.

Quel tempo infinito nei centri di accoglienza Lavoro, radio e teatro “Così ci sentiamo vivi”

Il tempo della traversata scorre lento e accelera come i battiti del cuore quando il mare riserva delle insidie. Quello nei centri di accoglienza siciliani sembra infinito, in attesa di un documento, o di un segnale che dia una svolta alla vita dei rifugiati. Eppure, a volte, il limbo si interrompe e il calcio, la musica, la radio, il teatro e il volontariato possono regalare un sogno. «Sono ragazzi che nella maggior parte dei casi hanno subito traumi, molti sono stati torturati nelle carceri libiche», dice lo psichiatria Peppe Cannella, impegnato da anni sul tema migranti e membro di Medici per i diritti umani. E così suonare, recitare, o fare un gol, sono molto più che un passatempo: «Spesso vivono in strutture chiuse lontane dai centri abitati. Questo isolamento e la mancanza di attività possono provocare la nascita di altre patologie», continua Cannella. Ma non c’è solo la noia. Il ticchettio delle lancette che scorrono. A Barcellona Pozzo di Gotto la speranza si chiama Radio Sprar. Doveva essere un corso di italiano e invece si è trasformata nelle frequenze delle buone notizie, dove i giovani richiedenti asilo sono speaker e dj. Un piccolo studio montato su con pochi mezzi per combattere i cattivi risvegli e le lunghe attese. «Mi sono accorto che la musica era il vero linguaggio per capirci », racconta Nicola Isgrò, 32 anni, volontario e attivista della Onlus promotrice “i Girasoli”.
Vengono dal Gambia, Nigeria, Somalia, Ghana, Pakistan e Bangladesh e con la web radio dimenticano i traumi o ingannano il tempo. «I ragazzi trascorrono dei mesi difficili durante il viaggio e, una volta arrivati, gli iter burocratici li bloccano anche un anno e mezzo», aggiunge Isgrò. Moussa adesso può trasmettere tutto lo scibile umano del reggae, “il genere che unisce i continenti”. Il trio di rapper Lamin Djanko, Lamin Tourai e Mohamed Seidu, ha composto degli inediti rap e freestyle. Aziz, invece, ha ripreso il mestiere del giornalista e del comunicatore. Quello che a Mogadiscio gli era costato la libertà e le torture per avere coperto un attacco terroristico contro il suo datore di lavoro: il ministero della comunicazione. Tutti spingono quella lumachina, simbolo della radio, che come loro va piano e va lontano con le sue cuffie. La musica è un’ancora di salvezza anche per Tijane, Bua, Mustafà, Abdoul, Momodou, Keita e Barry, ospiti del centro di accoglienza Villa Tedeschi di Modica e fondatori della band Black Star. «La musica è vita, scorre nelle nostre vene», dicono i migranti che provano due volte alla settimana: «L’entusiasmo gli fa dimenticare i problemi, i documenti che non arrivano, i parenti lontani », dicono gli operatori del centro. Al Cara, emblema dell’emergenza continua, c’è una squadra dei rifugiati. «I nostri ragazzi realizzano un sogno», racconta il mister Giuseppe Manzella che insieme Gianluca Trombino sceglie e allena i giocatori nelle strutture del centro. Anche quest’anno hanno centrato l’obiettivo stagionale: dopo due promozioni consecutive, la difficile salvezza in prima categoria. Favole di sport, di campetti polverosi nel calcio di provincia, fatta di tanta passione e pochi soldi. “Per molti è l’unica attività dopo la scuola sognano di essere somigliare ai loro beniamini”, aggiunge Manzella, riferendosi alle movenze e le acconciature di Balotelli o Drogba. Un altro tipo di gestualità l’hanno imparata invece i 12 migranti degli sprar palermitani, attori per caso di “Vade retro — la riscossa dei poveri diavoli”, del regista Martino Lo Cascio che è approdato al Teatro Lelio. La stessa determinazione dei ragazzi degli sprar di Pachino che hanno ottenuto la patente: «Sono già in sei ad aver raggiunto questo traguardo molto importante per trovare un lavoro. Questo non è un passa tempo, la vita deve andare avanti», dice Gisella Mistretta, presidente di Stella Maris, ente che gestisce la struttura. Pochi chilometri più a sud c’è la “Casa delle culture” di Scicli gestita da Mediterranean Hope. È in centro, a pochi metri dal famoso commissariato di Montalbano. Qui i ragazzi hanno aderito a un progetto di Legambiente per raccogliere arance destinate al macero, regalandole ai poveri. «Fanno i volontari: hanno pulito un sagrato e poi raccoglieremo pomodori, sempre nel progetto anti spreco”, dice Claudio Conti di Legambiente. «È il nostro modo per dire grazie», rispondono loro con un sorriso.

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MH
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