Si chiama Mediterranean Hope e punta a dare la possibilità a persone bisognose, che non potrebbero permettersi di affrontare la traversata, di arrivare nel nostro Paese con un volo di linea. Accolti dalle comunità, iniziano il percorso di richiesta di asilo
«Portarli in salvo, evitando i trafficanti di uomini, è possibile e noi stiamo facendo quello che i governi finora non sono riusciti a realizzare». La voce di Francesco Piobbichi, operatore sociale attivo a Lampedusa, è decisa quando spiega i risultati ottenuti negli ultimi due anni dalla missione umanitaria Mediterranean Hope. Finanziato dall’otto per mille alla chiesa valdese, il progetto è promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), con la collaborazione della Comunità di Sant’Egidio, e punta a migliorare l’accoglienza dei migranti anticipando il fenomeno stesso delle migrazioni.
«Al centro della nostra missione c’è la creazione di corridoi umanitari per consentire alle persone vulnerabili di poter arrivare in Italia e chiedere lo status di rifugiato, senza mettersi in mare e incorrere negli innumerevoli pericoli che ne conseguono – spiega Piobbichi -. Per fare ciò, siamo riusciti di concerto con le autorità nazionali a creare le condizioni per usufruire dei visti umanitari, previsti dalla legislazione, in casi di particolare necessità».
In sostanza, la missione prevede la possibilità per i richiedenti asilo di arrivare nel nostro Paese su un aereo di linea. Giunti in Italia, i migranti vengono accolti in un contesto adeguato e sensibile alle loro esigenze, in attesa di avviare le pratiche burocratiche per ottenere lo status di rifiugiato. Nel frattempo, vengono offerti loro corsi di lingua e servizi utili a garantire loro le migliori condizioni per un futuro inserimento nel nuovo Paese.
«Il primo corridoio umanitario lo abbiamo creato in Libano, ma i programmi prevedono situazioni simili nella rotta che passa per il Marocco e in quella libica – spiega l’operatore -. In quest’ultimo caso, però, il nostro intento è quello di raggiungere i migranti in Etiopia, ancor prima che entrino in Libia, e questo per via della situazione critica che c’è nel paese nordafricano». Sulle modalità di selezione delle persone che potranno godere del vantaggio di non fare una traversata in mare, prima di approdare in Italia, Piobbichi spiega che «ci sono diversi passaggi». Il primo sono le segnalazioni da parte delle comunità e delle associazioni che si trovano nelle rotte migratorie. «A essere scelti sono soprattutto coloro che per motivi diversi, tra cui quello economico, non potrebbero permettersi il lungo viaggio verso l’Europa».
Da quel momento inizia l’iter di controlli necessario ad assicurare che il migrante che farà ingresso in Italia abbia i requisiti necessari. «A occuparsene sono i ministeri del paese di provenienza e il corrispettivo italiano, ma anche le forze di polizia. Così facendo – sottolinea – siamo sicuri che ad arrivare saranno solo persone bisognose». Tuttavia, è normale chiedersi se quello dei visti umanitari possa essere una soluzione concreta a un fenomeno che coinvolge centinaia di migliaia di persone. «Immaginare che basti questo sarebbe esagerato, ma è anche vero che questa è una strada che i governi percorrono poco». Anche se c’è qualche esempio virtuoso. «Il Canada ne ha accolti 30mila».
E così agli operatori non rimane che fare accoglienza a 360 gradi. «Siamo presenti a Lampedusa con un nostro punto in cui forniamo alle persone che arrivano sui barconi beni di prima necessità, compreso qualche giocattolo per i più piccoli». A contribuire a finanziare questa attività sono anche i disegni che Piobbichi fa per narrare le storie in cui si imbatte. «Credo sia il modo più rispettoso per parlare delle esperienze vissute da queste persone», conclude l’operatore perugino.