Contro i porti chiusi, corridoi umanitari e accoglienza «a casa nostra»

Di Rosy Battaglia via Valori, 17 luglio 2019

46 organizzazioni riunite nella campagna #Ioaccolgo stanno cercando soluzioni concrete alla crisi umanitaria provocata dall’entrata in vigore dal primo decreto Sicurezza

Corridoi umanitari  e accoglienza «a casa nostra» contro i porti chiusi. Mentre continua il braccio di ferro tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini, Unione Europea e le ONG impegnate nel salvataggio di vite umane nel Mediterraneo, migliaia di famiglie italiane, comunità laiche e religiose hanno deciso di accogliere chi, pur essendo richiedente asilo, non ha più diritto, secondo l’attuale legge italiana, all’integrazione.

Ancora una volta la società civile italiana si rivela più avanti della politica. Ben 46 organizzazioni sociali, riunite nella campagna nazionale #Ioaccolgo stanno cercando soluzioni concrete alla crisi umanitaria provocata, in soli otto mesi, dall’entrata in vigore dal primo decreto Sicurezza. Avete letto bene: non dall’invasione che, dati alla mano, non c’è, ma dall’illegalità determinata dalle stesse politiche anti-immigrati varate dal governo Conte.

Decine di flash-mob, mobilitazioni nazionali da GenovaMilanoRomaPalermo che portano come simbolo le coperte termiche usate per i salvataggi in mare, un calendario condiviso a cui i cittadini possono partecipare. Ma soprattutto azioni concrete, con enti e associazioni che stanno pagando di tasca propria l’accoglienza, attivando corridoi umanitari per chi fugge da guerre e povertà, creando una rete di ospitalità e inclusione tra le famiglie italiane, strutture private e pubbliche.

Mediterranean Hope e i corridori umanitari 

«Ben 77 persone sono arrivate attraverso il corridoio umanitario aperto con il Libano, solo nelle ultime settimane, senza mettere a rischio altre vite – ha dichiarato Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, il programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche (FCEI).

Sono 1.610 le persone richiedenti asilo accolte nel nostro Paese, in questo modo, negli ultimi due anni, oltre 2.500 in Francia, Belgio e Andorra, grazie ai protocolli d’intesa varati dalla FCEI, Comunità di Sant’Egidio e Tavola Valdese e lo stesso Ministero dell’Interno e degli Esteri. Ma anche dalla Confederazione Episcopale Italiana (CEI) che ha aperto un corridoio con l’Etiopia. «Più di quanto abbiano fatto gli stati europei, tutti insieme, attraverso il meccanismo dei ricollocamenti», ribadisce il coordinatore di Mediterranean Hope.

Progetto che non pesa economicamente in alcun modo sullo Stato italiano: i fondi provengono in larga parte dall’otto per mille delle chiese valdesi e metodiste, da diverse comunità evangeliche in Italia e all’estero, da reti ecumeniche internazionali e da raccolte fondi come quella lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio.

Da Schengen la possibilità di rilasciare visti umanitari

«In questo modo abbiamo messo in salvo le persone in condizioni di vulnerabilità, soprattutto vittime di tratta, donne con bambini o provenienti da paesi in guerra, che vengono individuati in loco. Una volta portati in Italia non vengono abbandonati a se stessi, ma lavoriamo per il loro inserimento, attraverso l’assistenza, i corsi di lingua e la richiesta di permessi».

Percorsi di inclusione, realizzati insieme alla Commissione sinodale per la diaconia (CSD), la Casa delle Culture-MH di Scicli, il Centro diaconale LA NOCE di Palermo, la Rete dei comuni solidali (RECOSOL), Oxfam Italia che forniscono accoglienza in strutture e appartamenti su tutto il territorio nazionale.

La base giuridica dell’iniziativa è fornita dall’art. 25 del Regolamento CE 810/2009 che concede ai paesi Schengen la possibilità di rilasciare visti umanitari validi per il proprio territorio. Una volta in Italia i migranti hanno la possibilità di avanzare domanda di asilo e vengono supportati durante l’iter legislativo, subordinato ai controlli da parte del Ministero dell’Interno.

Ma, in questo modo, si evitano i viaggi della morte e si contrasta il business dei trafficanti di esseri umani e delle organizzazioni criminali, che continuano, imperterriti, fuori dai riflettori.  «Un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione italiana» secondo il  Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ospitiamoli a casa nostra: le famiglie di Refugees Welcome Italia 

Sono circa 600, invece, le famiglie italiane che negli ultimi sei mesi hanno dato disponibilità ad ospitare un rifugiato nell’ambito del progetto Refugees Welcome Italia (RWI) e, a oggi, sono 150 le prime convivenze realizzate. «La dimostrazione di come il desiderio di aiutare chi è costretto ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni o miseria rimanga forte, nonostante il clima politico non sia dei più favorevoli» conferma a Valori, Sara Consolato di RWI.

«Dal 2015 a oggi quasi 4 mila famiglie si sono iscritte sul nostro sito per dare disponibilità ad ospitare, da tutte le parti di Italia. Ora puntiamo ad allearci con i comuni, rimasti da soli a gestire le persone escluse dai centri di accoglienza, per tentare di «scalare» il modello. Lo stiamo già facendo a Palermo, Bari, Ravenna e Macerata».

Il fallimento del decreto Sicurezza 

Nonostante i tweet del ministro dell’Interno e il varo del decreto Sicurezza Bis, lo scorso 15 giugno, secondo i dati diffusi dallo stesso Viminale, 2544 persone sono, comunque, approdate in Italia da gennaio al 26 giugno 2019, mentre almeno 588 hanno perso la vita nello stesso periodo, secondo l’Unhcr.

Alla diminuzione degli sbarchi, però, non è corrisposta una diminuzione delle presenze di migranti, come Valori insieme a ISPI ha già documentato, ma un aumento degli irregolari, a seguito dell’abolizione del permesso umanitario e allo smantellamento del sistema SPRAR. Gettando il caos tra le stesse prefetture e i comuni

Sea Watch3 e Mediterranea: raccolta fondi a tempo record

Le tanto vituperate Ong, insieme a cittadini e comuni, stanno, così, fronteggiando i danni causati dal decreto Sicurezza e avversando politiche inumane e discriminatorie. Con ogni mezzo. Anche attraverso le donazioni. L’esempio arriva dalla raccolta di oltre 430 mila euro, a tempo record, per sostenere l’eventuale sanzione amministrativa che potrebbe essere comminata alla comandante della Sea Watch 3, Carola Rackete.

«La capitana», è salita alla ribalta delle cronache, per essere entrata nelle acque territoriali italiane ed essere sbarcata a Lampedusa, per portare in salvo 42 persone raccolte in mare, sfidando il no del Viminale. Pur avendo seguito l’obbligo di soccorso,  liberata dagli arresti domiciliari,  rischierebbe ora, come prevede il decreto Sicurezza Bis, una sanzione che va da un minimo di diecimila euro a un massimo di cinquantamila euro, per il comandante, l’armatore e il proprietario della nave, «in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane».

«Salvare vite umane non può essere un crimine» hanno ribadito, ancora una volta, Sea Watch e Greenpeace International. Insieme all’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, che già lo scorso maggio aveva inviato una lettera all’Italia. Secondo Beatriz Balbin, responsabile delle procedure speciali dell’Unhcr, l’approccio del decreto «è fuorviante e non è in linea con il diritto internazionale generale e il diritto internazionale dei diritti umani».

E intanto è partita un’altra raccolta fondi: quella per coprire le spese legali e rimettere in acqua una delle due imbarcazioni di Mediterranea. L’ennesima messa sotto sequestro, dopo la nave Mare Jonio, ancora ferma a Licata. Il prezzo pagato dall’armatore Alessandro Metz per aver portato in salvo 59 persone lo scorso 4 luglio.

 

 

MH
MH
X