Roma (NEV), 29 ottobre 2019 – La chiamavano “Americhicchia”, cioè una piccola America, un posto pieno di risorse e di soldi. Parliamo di Rosarno, che fino a 30 anni fa era un luogo ricco e per questo terra di immigrazione – anche dal Nord Italia – , e lo ha raccontato Giuseppe Pugliese, uno dei fondatori di Sos Rosarno, associazione che ha messo in rete alcune aziende del territorio convinte che potesse esistere un’alternativa allo sfruttamento.
Ma l’Americchia non esiste più, da anni.
Siamo al gennaio 2010, alla “rivolta” che sale alla ribalta nazionale. Siamo alla Rosarno della caccia ai neri, di “80 persone africane finite al pronto soccorso”. Quindi i trasferimenti forzati – “deportazioni” – dei braccianti, dopo i fatti di Rosarno e una sorta di sostituzione etnica dei lavoratori.
Un processo di sostituzione etnica registrato anche negli anni precedenti e confermato da alcuni studiosi che pongono l’accento sul reclutamento sempre più massiccio di lavoratori dell’Est Europa. “Una massa di alcune migliaia di immigrati, in gran parte irregolari e invisibili, che si riverserà soprattutto nei mesi invernali nella Piana – come si legge nel rapporto finale di ricerca “Monitoraggio della presenza degli immigrati di Rosarno”, realizzato dall’Università di Catanzaro, all’interno di un protocollo di intesa sottoscritto tra l’ateneo e il Comune di Rosarno.
Come reagisce lo Stato alla così detta rivolta? Smantellando gli insediamenti informali più grandi, prima, e poi, i più piccoli. E creando una tendopoli nell’area industriale e un campo con venti container.
La campagna Sos Rosarno è nata proprio dopo la rivolta: “Abbiamo capito cosa significa guerra tra poveri – racconta Pugliese -. E per rispondere a quanto stava accadendo, con un gruppo di ragazzi africani arrivati a Roma, accolti all’Ex Snia, è iniziato un percorso di auto organizzazione e nel corso di un’assemblea l’idea di lavorare e vendere i nostri prodotti con i gruppi di acquisto solidale”.
Dunque Sos Rosarno inizia, nel 2011-2012, con quattro persone, e dal 2015 si è costituita anche una cooperativa sociale multietnica, Mani a Terra, e la realtà è cresciuta, coinvolgendo piccoli produttori, attivisti e braccianti.
Nel frattempo, ancora secondo i dati raccolti dallo studio dell’Università di Catanzaro, al 31 dicembre 2018 si parla di 845 stranieri presenti nel registro demografico del Comune di Rosarno su una popolazione di 14.503 persone ma di circa 4mila migranti stagionali presenti nell’area nei mesi invernali.
Il primo problema è dunque l’accoglienza abitativa, questione che potrebbe essere risolta attraverso gli immobili che risultano vuoti o non utilizzati. Occorrerebbe però, come conclude il rapporto degli studiosi, porre in connessione domanda e offerta.
E’ proprio il diritto all’abitare uno dei nodi sui quali cercherà di intervenire Mediterranean Hope. In questi due mesi dall’avvio del progetto, i due operatori della FCEI presenti nella Piana di Gioia Tauro, Ibrahim Diabate – autore tra l’altro di questo video “Rosarno la metafora”, e Francesco Piobbichi, si sono focalizzati su questo bisogno, fornendo ai lavoratori migranti, circa 50 fino ad oggi, informazioni e strumenti per risolvere la primaria questione della residenza.
Una casa è quella che hanno trovato alcune decine di rifugiati e migranti dall’Africa e dal Medio Oriente in un paesino della Locride, a pochi passi dalla più celebre Riace, Camini, un piccolo centro con poche centinaia di abitanti, che oggi “rivive” proprio grazie a questa esperienza di accoglienza.
Un’isola felice, forse, ma che riconsegna un’immagine diversa della Calabria. Così come la storia del parco Ecolandia, un parco ludico ambientale dove vengono sperimentate diverse forme di energie alternative e rinnovabili, progetti e prodotti ecocompatibili, laboratori didattici sulle tematiche ambientali. Al suo interno, tra l’altro, lavorano tre rifugiati siriani, due come agricoltori e uno come falegname, arrivati con i corridoi umanitari realizzati proprio dalla Fcei.
E che il Sud non sia e non voglia essere solo sfruttamento lo dimostrano tante altre associazioni impegnate per i diritti dei braccianti, per condizioni di lavoro degno. Ospiti della due giorni della Fcei anche i pugliesi di Sfruttazero, il “pomodoro senza caporalato”, rappresentanti dell’associazione Solidaria di Bari, che da cinque anni producono e vendono salsa di pomodoro da coltivazioni agroecologiche.
I pomodori in Puglia, le arance a Rosarno: è proprio col lavoro – dicono queste esperienze virtuose e resilienti – che dal basso ci si può opporre allo sfruttamento delle persone, alla nuova schiavitù. [BB]