Donde mueres los suenos. Alla frontiera Usa-Messico con Mediterranean Hope

L’operatrice della FCEI Fiona Kendall racconta l’esperienza del programma migranti e rifugiati delle chiese evangeliche in viaggio in Arizona, ospiti della Good Shepherd United Church of Christ

Roma (NEV), 24 gennaio 2020 – Mediterranean Hope negli Stati Uniti, al confine con il Messico, per uno scambio di pratiche ed esperienze “da frontiera a frontiera”.

Si conclude in questi giorni l’esperienza di due operatori del programma migranti e rifugiati della FCEI, Fiona Kendall e Francesco Piobbichi, ospiti dal 16 al 18 gennaio di due festival molto importanti per gli attivisti nordamericani che si occupano di migrazioni, il Common ground on the border e The border issues fair, alla sua diciassettesima edizione, entrambi in Arizona, a Sahuarita.

L’iniziativa è stata organizzata dalla UCC Church of the Good Shepherd, che ha appunto deciso quest’anno di invitare l’operatore e disegnatore sociale dei “Disegni dalla frontiera“, per un keynote address, cioè l’intervento centrale dell’evento.

“Si è trattata di un’esperienza molto arricchente ed emozionante – spiega Fiona Kendall – un’occasione di scambio davvero importante. Hanno ascoltato la nostra testimonianza e si sono molto emozionati davanti alle storie dei disegni dalla frontiera di Francesco Piobbichi oltre 300 partecipanti, congregazioni e attivisti provenienti da tutti gli Stati Uniti”.

Nel corso dell’appuntamento, lo staff della FCEI ha anche preso parte ad alcune escursioni organizzate dalle chiese del “pastore di frontiera” Randy Mayer.

“Siamo stati a Nogales – continua l’operatrice delle chiese evangeliche in Italia – , una cittadina divisa in due dal muro tra Usa e Messico, abbiamo attraversato il check point che separa i due paesi, pregato per le persone che intraprendono quel viaggio. Nel lato messicano di Nogales ci sono croci, segni e piccole opera d’arte che ricordano tutti i migranti che lì hanno perso la vita. Abbiamo poi visitato alcuni centri di accoglienza e siamo stati nel deserto dove le chiese si occupano tra l’altro di distribuire acqua ai migranti. Nel corso dei festival abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare studiosi dei temi relativi alle migrazioni, come Todd Miller, autore de “L’impero delle frontiere”, sul business che esso rappresenta, attivisti per i diritti umani ed esperti da ogni parte degli Usa. Siamo stati anche in visita a vari memoriali dei migranti, uno dei quali intitolato Donde mueren los suenos, dove muoiono i sogni, realizzato dall’artista Alvaro Enciso, che ha piantato 900 croci là dove sono stati trovati altrettanti resti di corpi – ma ne sono stati trovati molti di più, si stima almeno 3mila – , donne, uomini e bambini che non ce l’hanno fatta, ad attraversare il deserto, non sono sopravvissuti a quel viaggio della speranza”.

Tanti, purtroppo, i tratti in comune di quella frontiera con i confini e le tragedie del Mediterraneo. “Ci sono diversi parallelismi tra il nostro lavoro e l’impegno delle chiese nordamericane sul confine con il Messico – conferma Fiona Kendall – . Il primo elemento che ci accomuna, che ci ha ricordato da vicino l’Italia, è purtroppo la criminalizzazione della solidarietà. E poi l’esternalizzazione delle frontiere, cioè del subappalto della gestione delle frontiere a paesi terzi, come un tema e un tentativo di respingere i migranti. Quello che la politica statunitense sulle migrazioni degli ultimi anni, forse decenni, sembra fare, da quello che abbiamo potuto vedere, è proprio respingere il maggior numero possibile di migranti, farli rimanere in Messico, o in balia del deserto”.

 

MH
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