La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” è a cura di Elisa Biason, volontaria a Lampedusa, tornata sull’isola a un anno dalla sua precedente esperienza con MH
Al sagrato della chiesa si dava voce. Il richiamo di questa attirava molte persone che passeggiavano su via Roma e che pian piano si univano a chi era già sui gradini della chiesa. Le luci delle lanterne accese dal Forum Lampedusa Solidale rafforzavano il significato di quelle presenze: interrompere l’assurda oscurazione del diritto di sbarcare in un porto sicuro e la negazione della conclusione delle operazioni di soccorso.
Le luci delle lanterne sono state accese per più di due settimane. Questo è stato il tempo trascorso sulla nave Open Arms dalle 160 persone tratte in salvo, tra questi 32 minori.
Ripercorrendo quei giorni ricordo il susseguirsi degli eventi. Il continuo aggiornamento sullo stato di salute e alla situazione di chi si trovava a bordo. La preoccupazione per le crisi di pianto e paura collettiva. Seguivano così le richieste di sbarco e arrivavano i divieti da parte di Malta e Italia.
Ricordo gli sbarchi autonomi che avvenivano nonostante i divieti dell’allora Ministro dell’Interno Salvini. Senza clamore assumevano il significato auspicato per tutti: la salvezza per chi dopo giorni di mare aperto, senza acqua e senza cibo, con la pelle cotta dal sole e dalla salsedine, stramazzava sull’asfalto rovente del porto commerciale. Erano vivi. Ricordo le lacrime ininterrotte della ragazzina per il fratello caduto dal barchino, i tre bimbetti nudi e i corpi sfiniti. Dopo un anno da quel sagrato e il senso di quella permanenza costante, il silenzio sembra l’unico suono presente e non rasserena le notti. Riporta ad un torpore di ingiustizia profonda e gravissima, che dovrebbe venire a pigliarci dai piedi mentre dormiamo nelle nostre tiepide case. Questo silenzio cade su chi sta nei lager libici, su chi dalla Libia parte e non viene salvato se si trova in acque internazionali. Copre e offusca ma non può essere cancellato perchè quello che sta accadendo è noto a tutti e ciascuno è coinvolto. Questo dovrebbe scuoterci, farci pensare, farci vedere e parlare di ciò che sta accadendo: l’impossibilità di assistere agli sbarchi a causa dell’emergenza COVID-19, l’incertezza sui numeri degli arrivi e la situazione di pericolo vissuta dalle persone che si trovano in mare in questo momento. Persone avvistate e non salvate.
Ricordo lo sbarco medico avvenuto dall’Open Arms e la conoscenza di due donne, Angela e Hortensie. Entrambe dopo il mio saluto sorridente hanno dichiarato la loro felicità per essere finalmente sulla terra ferma. Ci siamo presentate, Angela ha preso il mio nome come segno di buon auspicio perché anche sua nonna si chiamava Elisa. Per Hortensie le cose sono andate un po’ diversamente: la grande ustione sulla gamba era fortemente peggiorata e mostrava ipersensibilità agli occhi, ogni fonte luminosa le provocava sofferenza. Quando mi sono avvicinata lei aveva il viso riparato dalla coperta termica. Pensavo avesse freddo. Mi ha spiegato che si copriva dalla luce del lampione. Viste le condizioni precarie siamo andate in ambulanza al poliambulatorio. Durante il tragitto e nel tempo dell’attesa mi ha raccontato di essere stata chiusa dal suo padrone per circa sei mesi in una stanza completamente buia. Abusavano di lei e la tenevano chiusa in una stanza al buio. La detenzione le ha danneggiato la vista. Poco prima di essere venduta il padrone le ha ustionato il corpo versandole dell’acido addosso.
Un anno dopo la situazione non è cambiata. Nonostante la perfetta conoscenza e denuncia rispetto a ciò che avviene in Libia sono stati approvati i provvedimenti di rifinanziamento delle missioni all’estero. Per la Libia è stato previsto uno stanziamento di 58 milioni di euro, di cui 10 andranno alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera, per un totale di 3 milioni in più rispetto all’anno scorso. Risulta scontato dire che si alimentano i rapporti economici con le zone in cui sono accertati crimini contro l’umanità, maltrattamenti e violenze di massa subiti dai migranti in un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.