La Repubblica

Alessandra Ballerini – 26 luglio 2015

L’ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI E L’ARROGANZA A LEZIONE DI UMANITÀ SUI MOLI DI LAMPEDUSA

Avevo pensato, visto il clima generale di afa, crisi e incertezze, di combattere la pesantezza con una storia semplice e a lieto fine. E ne avevo pure trovata una perfetta seppure molto personale: l’avventura della mia “cana” Sofia smarrita e ritrovata dopo circa un’ora grazie all’aiuto di una moltitudine di anime belle. Mi ero anche già messa all’opera recuperando per poi trascrivere ogni particolare degno di nota dalla memoria recente. Ma poi sono andata a Lampedusa e ogni proposito di leggerezza è svanito.

Ho sempre provato ammirazione e una sorta di invidia per medici, infermieri, mediatori, attivisti, operatori sociali o volontari che hanno la fortuna di incrociare lo sguardo, scambiare timidi sorrisi, offrire un bicchiere d’acqua o una coperta agli scampati dal mare. È successo nella nostra città solo un anno fa quando una nave commerciale aveva condotto dei profughi sottratti alle onde del Mediterraneo fino al nostro porto e poi aveva svuotato il suo raccolto umano alla Fiera del mare. Alcune divise all’epoca, sorprese da questa esperienza straordinaria e dalla immediata empatia che, loro malgrado ne era conseguita, mi avevano confidato di non aver mai pensato che queste creature “fossero così uguali noi”. E avevano ideato questa ricetta per tutti quelli che si riempiono la bocca, spesso con parole foriere e frutto di ignoranza e odio, su questi temi: “dovrebbero passare una giornata sul molo ad accoglierli, cosi capirebbero”. Ecco, magari qualcuno si, capirebbe, ma per altri, più caparbiamente ottusi, questa cura di accoglienza forse non basterebbe.

Anche a Lampedusa, dove quel miracolo di empatia si ripete quasi ogni giorno, molti ne escono comunque indenni. L’Isola, contrariamente all’immagine suggerita dai media, non è minimamente “invasa” dai profughi che “sbarcano”, o meglio vengono fatti sbarcare dai “salvatori” della guardia costiera, con assoluta discrezione, lontano dagli occhi dei turisti, quasi sempre di notte e che in fretta vengono rinchiusi prima in un centro di soccorso e accoglienza inaccessibile anche allo sguardo, e poi trasferiti in nave, fuori dall’Isola. Un turista mi confIdava, un po’ deluso, di non aver visto nessun ” nero, neppure un vu’ cumprà”.

Sui moli dell’Isola la scorsa notte alcuni amici hanno condiviso con me la loro buona sorte, mi hanno consegnato bicchieri di plastica, bottiglie d’acqua e succhi di frutta acquistati coi loro soldi e mi hanno resa partecipe e complice di questa eccezionale esperienza e destinataria di immeritata gratitudine. Era tutto perfetto, come un tramonto d’estate. Erano arrivati tutti vivi, sfiniti ma sani, compresi i tanti minori, i due neonati infagottati in braccio alle madri e la ragazza al nono mese di gravidanza. Tutti ringraziavano, anche chi non aveva più voce né forze, con un moto eloquente di sguardi. I volontari si muovevano in perfetta sinergia con azioni precise ed efficaci collaudate da tempo: c’era chi portava l’acqua, chi porgeva da bere, chi raccoglieva i bicchieri usati che i profughi ben si guardano dal buttare per terra e chi distribuiva sigarette e parole di conforto, la prima è sempre: benvenuto.

Sarebbe stato tutto quasi perfetto, ci si poteva quasi dimenticare per un attimo della guerra e delle torture alle loro spalle. Ma poi ci sono loro, i perenni ottusi. Quelli che ostentano manganelli, distintivi, arroganza e gradi. Quelli che usano la burocrazia come inciampo e la divisa come abuso.Incapaci di godersi la perfezione del momento, devono guastarla, gridando ordini e insulti, mostrando muscoli inutili, opponendo divieti insulsi, persino quello di offrire l’acqua a delle donne stremate e intralciando cosi oltre l’accoglienza anche il soccorso. E mi riempiono della stessa rabbia impotente provata una notte di 14 anni prima davanti alla scuola Diaz. Per ritrovare pace mi concentro su Paola, Alberto, Francesco, Yadira e Lillo che, incuranti del divieto, continuano ad offrire da bere ai profughi, perché, mi insegnano, negare l’acqua è omissione di soccorso, ci arrestino pure.

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