“Mamma li Turchi”

Nev- Ivana Abrignani, operatrice di MH a Lampedusa

Lampedusa, Agrigento (NEV), 21 dicembre 2016 – D’inverno le strade a Lampedusa sono deserte, le sere polverose, crepuscolari come durante un coprifuoco. Intorno, il mare irrompe sugli scogli, il grido rauco del vento porta gli echi profondi di voci lontane che vanno e vengono come un lento respiro. L’isola d’inverno sembra relegata in un mondo lontanissimo e l’incanto di questa solitudine sembra immenso. La domenica mattina i negozi sono chiusi, c’è sempre meno gente, la stagione è finita e l’isola riscopre il suo celato quotidiano.

Si torna a parlare dei “turchi” a Lampedusa, come dei “siberiani” a Calais, siano essi siriani, curdi, afghani, eritrei, sudanesi, nigeriani e così via. Ma perché “turchi”? Loro arrivano da lontano, non importa da dove, ma essendo la Turchia distante da Lampedusa 2.034,80 km l’intenzione è quella di sottolineare la lontananza e con essa la diversità. Lo stesso accade per i “siberiani” di Calais, nonostante la Siberia disti da Calais 8.728,92 km. I “turchi” e i “siberiani” sono tutti quelli che arrivano: “Ormai a migliaia, arrivano dal Medio Oriente o dall’Africa, paesi devastati dalla guerra, come ci ripetono ogni giorno in televisione, sicché, certo uno li capisce, poveracci, se scappano, ma vorremmo che si fermassero ovunque tranne che nel nostro giardino. Va bene accoglierli, ma perché qui? I migranti stessi sono disperati all’idea di dove restare qui. Ci hanno fatto il brutto scherzo di metterci la frontiera in casa per poi affidarci il compito di occuparcene e di sorvegliarla”. Questo concetto è espresso da Emmanuel Carrère in “A Calais”, un reportage che descrive la relazione tra il potere, il quotidiano e gli effetti che esso crea in un luogo di confine. Lo stesso virgolettato calza perfettamente l’attuale realtà di Lampedusa.

Ne “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, il tenente Drogo passa decenni ad attendere i Tartari – un popolo sconosciuto ma perfettamente delineato come “altro” nell’immaginario collettivo – per poi scoprire che l’attesa del nemico non era che un pretesto per dare un senso alla routine della fortezza. Il pericolo maggiore, anche nelle fortezze odierne, è quello di cedere all’inerzia, di cadere nel torpore del quotidiano, abitudini mentali di cui fanno parte i confini che mettiamo tra noi e gli altri: “i tartari”, “i siberiani”, “i turchi”. In realtà, l’arrivo via mare dell’”altro” ci preserva dal pericolo di abituarci al confine: a Lampedusa si respira l’energia, la straordinaria fame di vita che ha spinto uomini e donne ad affrontare un viaggio travagliato ed eroico, di cui quest’isola è solamente una tappa.

MH
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