I corridoi umanitari sono un viaggio di libertà

Matteo de Fazio, Riforma

«Per molte famiglie il viaggio non inizia a Beirut, ma da regioni lontane, fin dai confini con la Siria»: così racconta Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope che ha accompagnato altre 41 persone in sicurezza in Italia attraverso il progetto dei corridoi umanitari. In questo modo sono 540 le persone che hanno fatto parte dei viaggi sicuri organizzati dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa Valdese con un importante finanziamento dell’Otto per mille.

È il primo gruppo del 2017, composto da un terzo di bambini – ricorda l’Agenzia stampa Nev – queste famiglie, sia musulmane che cristiane, provenienti soprattutto da Aleppo, Homs e Damasco e hanno trovato rifugio in Libano.

I presidenti degli enti promotori, pastore Luca Maria Negro della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, e Marco Impagliazzo della Comunità di Sant’Egidio, hanno dato il benvenuto ai nuovi arrivati a Fiumicino insieme al viceministro degli Esteri, Mario Giro e la prefetto Donatella Candura per il ministero dell’Interno.

Il volo è partito alle 4 di notte e in mattinata è atterrato a Roma, dove i profughi hanno svolto i controlli e le pratiche di richiesta di asilo, come prevede il protocollo. Oltre a evitare il pericolo del viaggio in mare e la tratta dei trafficanti, «il progetto mira a ricostruire la normalità, spezzata dalla guerra e dalla vita nel campo profughi. La rete di accoglienza diffusa organizzata in Italia si basa sul modello della reciprocità e guarda all’attivazione della società civile».

Il progetto dei corridoi umanitari prevede l’arrivo di 1.000 persone dal Libano, ma anche dall’Etiopia e dal Marocco. «Queste 41 persone – continua Piobbichi – saranno accolte in tutta Italia: Palermo, Rimini, Pordenone, Roma, Fano e sono un piccolo gruppo che anticipa un gruppo più grande che dovrebbe partire la fine del prossimo mese».

Ogni viaggio ha delle storie e delle emozioni particolari: «c’è una famiglia di una ragazza madre, che di fatto era schiava in Libano – conclude l’operatore – ricorderò sempre il suo bambino che per la prima volta ha visto piccioni, cane e mare: non avevo mai visto in un bambino quello sguardo di libertà».

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