I punti interrogativi

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O dalle volontarie e dai volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Oggi “Lo sguardo” proviene dalla Calabria ed è stato scritto dalla volontaria Miriam Bovi.

Rosarno (NEV), 5 agosto 2022 – Ci svegliamo e andiamo al Comune di San Ferdinando. Per arrivarci, percorriamo stradine a doppio senso, con macchine e furgoni parcheggiati ai lati. I bambini giocano sulla strada, in costume e a piedi scalzi a volte. Il silenzio è interrotto dalle cicale e dal vociare animato di chi è seduto fuori casa per il troppo caldo. Cartelli sbiaditi dal sole, incendi che illuminano i campi e il lungomare chiuso dal porto di Gioia Tauro. Ecco la piazza, tutta nuova, pulita, bianca. Veniamo spesso per i documenti dei ragazzi che abitano all’ostello, ognuno con una situazione singolare.

Si va a Dambe So, per fortuna il regolamento e l’autogestione stanno, pian, piano, funzionando. Per questi ultimi passaggi, uno sguardo veloce all’appartamento basta per ospitare i prossimi turisti solidali. Controlliamo che ci siano i prodotti per pulire, la carta igienica, le bottiglie d’acqua, le aranciate di Sos Rosarno, gli antizanzare. Laviamo le lenzuola e gli asciugamani, rifacciamo i letti. Prima del regolamento era tutto diverso ma, come ogni inizio, il progetto si aggiusta con il tempo, perché l’autonomia di tutte e tutti ne garantisce il funzionamento sul lungo periodo, senza pesare sull’andamento delle pratiche quotidiane di gestione e partecipazione.

Il pranzo s’inventa in un modo sempre nuovo, così come la cena. A volte con i nostri amici dell’ostello, tra specialità dell’Africa dell’ovest e un nuovo modo di mangiare, speziato e condiviso, in un solo grande piatto posto al centro del tavolo, su di una tovaglia improvvisata con il sacco di riso. Si usa così ed è ogni volta sorprendente la scoperta di usi e costumi che non si conoscono. Mangiamo con le mani o con un cucchiaio a testa. Altri giorni prendiamo un boccone veloce da qualche parte.

Si riparte, un nuovo arrivo, la spiegazione del funzionamento del progetto e dei gesti quotidiani ai turisti solidali che vengono a trovarci. Il passaggio lascia ogni volta un segno particolare, non solo sul libro degli ospiti ma anche a livello di legami che nascono, di progettualità presenti e future, così come di un circolo di informazioni ‘dal basso’, unito a un’economia solidale e solida a sostegno dell’ostello e della dignità di chi lo abita, di chi ci lavora e di chi lo visita. Anche per le realtà del territorio, questo diventa un luogo d’incontro, riformulabile insieme con un filo della memoria che ci unisce.

Da settembre-ottobre, i lavoratori braccianti abiteranno l’intero piano. Vi sono circa venti posti letto, distribuiti in sei appartamenti, ognuno con bagno, cucina, salone e balcone. Parliamo molto con chi è già qui, perché la relazione si costruisce passo dopo passo, con dedizione e frequenza. La relazione non si può imporre. Si costruisce pian piano, con pazienza e rispetto reciproco, degli spazi, dell’intimità e dei tempi individuali, ammettendo la possibilità che questo possa non verificarsi. La relazione paritaria è supportata da una messa in discussione continua, insaziabile, aperta, faticosa, senza protagonismi che distolgono l’attenzione da uno sguardo e una costruzione collettivi. Non ci si può esimere dal chiedersi continuamente il senso di quello che facciamo, le intenzioni che ci muovono e la direzione che prendiamo. La pretesa di informazioni immediate poco si adatta a questa realtà. Lo scambio di idee, di culture, di credenze, di tradizioni, di religioni e non religioni, necessita di un interesse e un impegno sinceri, improntanti su azioni ripetute e un’organizzazione più o meno cadenzata delle attività, dai corsi d’italiano a quelli di kick boxing.

Il martedì, il giovedì e il sabato alle 19:15 iniziamo a prepararci. Ci cambiamo e chiedo un po’ in giro chi vuole venire. Ogni volta è unica e l’allenamento s’improvvisa a seconda di chi viene, con tre paia di guantoni, due para tibia, quattro fascette, due pao, due corde, dei pesi offerti dai ragazzi, un tappetino e un elastico. Prendiamo anche un po’ d’acqua, si esce. Ci posizioniamo davanti al mare, a volte anche nel campetto o un giro di corsa sulla spiaggia. Il tramonto sullo Stromboli ci accompagna. Di fronte al mare c’è una brezza che ci ridà il respiro in queste giornate umide e asfissianti. Certo, il lavoro nei campi, sotto al sole – a volte con orari ‘fuori legge’- e questo caldo costante, non incitano all’affollamento dei nostri corsi di kick. Ma qualcuno c’è sempre. Si alternano braccianti, volontarie, operatori, turiste e turiste, insieme a qualche spettatore. Dal 20 giugno, tre sere a settimana sono dedicate a questo svago che caccia via le angosce e al tempo stesso unisce. Le differenze sociali e di provenienza si annullano e ogni carattere trova una canalizzazione specifica. C’è chi riesce ad acquisire un po’ più di fiducia in sé, chi esce dalla timidezza, chi argina la rabbia attraverso la tecnica e chi si sfoga, liberandosi dal peso delle proprie frustrazioni. Questo tempo sociale spezza, con naturalezza e spontaneità, il peso della routine, il flusso di pensieri e l’isolamento. Impariamo molto l’uno dall’altra, ci impegniamo e ridiamo insieme. Tutto appare più leggero e le porte relazionali si schiudono, sperando di accogliere anche gli abitanti di San Ferdinando.

L’interazione che vivo a Dambe So mi fa riflettere continuamente. Tutte e tutti sbagliamo ma credo che i punti interrogativi siano le fondamenta più solide su cui costruire la parola, il gesto e l’azione. Due concetti mi risuonano nella testa e nel cuore, quello di inclusione e quello di autonomia. Inclusione e autonomia di tutte le persone che fanno parte dell’ostello, dai lavoratori braccianti agli operatori e operatrici, dai volontari e volontarie ai turisti e turiste solidali. L’inclusione costruisce e l’autonomia fortifica.

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