Roma (NEV), 18 ottobre 2019 – Calato il sipario sulle commemorazioni del 3 ottobre, Lampedusa è ripiombata nella sua tragica routine: nelle ultime due settimane 20 cadaveri, persone morte nel Mediterraneo, i cui corpi sono stati recuperati dalla guardia costiera e portati sull’isola.
Quanto agli sbarchi, a chi fortunatamente è arrivato salvo sull’isola, sono arrivate 21 persone, nello stesso periodo, 14 ragazzi di nazionalità tunisina e 7 donne della Costa d’Avorio e un’altra donna ivoriana, trasferita in ospedale a Palermo.
Ne mancherebbero all’appello più di dieci, secondo quanto raccontano i superstiti degli ultimi naufragi.
Ce ne parla Alberto Mallardo, coordinatore di Mediterranean Hope, programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, a Lampedusa.
Alberto Mallardo (Foto: Ron Dauphin)
La straziante storia della madre con il bambino, le immagini dei corpi in fondo al mare: fuori dalla spettacolarizzazione del dolore, cosa sta succedendo realmente in queste settimane?
Intanto, da fine settembre si è registrato un incremento degli arrivi rispetto allo stesso periodo del 2018. Parliamo di 4000 persone circa dall’inizio dell’anno, 1670 dal primo settembre a oggi.
In larga parte le persone raggiungono l’isola autonomamente, a bordo di piccole imbarcazioni di legno, che partono dalle coste libiche e tunisine. Nel Mediterraneo al momento non ci sono assett, ovvero risorse, sufficienti per le operazioni di ricerca e soccorso, e questo mette a rischio, drammaticamente, la vita delle persone in viaggio.
Al cimitero di Lampedusa. Foto di Ron Dauphin
I media mainstream spesso parlano di un’isola al collasso, di un hotspot che “sta per esplodere”: è così?
Intanto non sono l’isola o l’hotspot al collasso ma sono le persone che ci vivono a patire condizioni indegne: cerchiamo di spostare l’obiettivo su di loro, sulle loro vite e sulle situazioni materiali e non che affrontano. Quel che è certo è che una struttura che potrebbe ospitare 96 persone ne ospita diverse centinaia in più, nei giorni scorsi c’è stato un picco di 450 presenti. E questo comporta in primo luogo che non ci siano posti letto per tutti, che le persone siano costrette a dormire per terra e che i servizi essenziali vengano forniti in maniera inadeguata. Tuttavia è chiaro che le autorità stiano cercando di far fronte alla situazione accelerando i trasferimenti delle persone, in nave, dall’isola alla terra ferma ma non ci pare sufficiente.
L’hotspot di Lampedusa. Foto di Ron Dauphin
Il lavoro di Mediterranean Hope sull’isola è sempre stato modulato in base alle esigenze del territorio e di concerto con la popolazione locale: come sta cambiando?
Sì, cambia a seconda dell’evoluzione della frontiera. Negli ultimi giorni, ad esempio, a seguito del naufragio del 7 ottobre, noi operatori e volontari siamo stati impegnati nel provare a supportare i famigliari dei dispersi nella ricerca di informazioni sui loro cari.
Diverse persone da Germania, Francia, Italia, Tunisia ci hanno mandato foto e documenti su loro parenti che non riescono a rintracciare, noi li aiutiamo in questa ricerca, provando a metterli in contatto con le autorità preposte.
Oltre a questo, e oltre alle attività di prima accoglienza che cerchiamo di fare ogni volta che c’è uno sbarco sull’isola, continuiamo a collaborare con diverse realtà locali di Lampedusa in particolare nell’ambito di progetti per la tutela dell’ambiente. Nei giorni scorsi, ad esempio, i volontari MH hanno partecipato ad attività di pulizia e bonifica di spiagge e altre zone dell’isola, all’interno del progetto Lampedusa resiste.
Perchè pulire Lampedusa, aiutare questo territorio, è strettamente connesso con quanto proviamo a fare per le persone che migrano: i diritti o sono di tutti o si chiamano privilegi, il lavoro di Mediterranean Hope è quello di impegnarci per tutelare non una “categoria” ma più persone possibile. Infine, e dovrebbe essere un tema molto più al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica, il nodo delle cause delle migrazioni impone una riflessione sull’emergenza climatica: le persone partono per le guerre, per l’instabilità politica dei loro Paesi, ma anche – e sarà sempre di più così ( un report della Banca mondiale, del 2018, ha presentato proiezioni per la migrazione interna climatica pari a 143 milioni di persone entro il 2050, ndr) – per le conseguenze del climate change.
Come denunciano Greta Thunberg e migliaia di manifestanti in tutto il mondo, come ha detto Carola Rackete, “Il pianeta sta per estinguersi. Dobbiamo affrontare l’argomento delle disuguaglianze internazionali e mondiali, della povertà che porta queste persone a lasciare la propria terra per cercare una vita migliore altrove”. [BB]
La porta d’Europa, di Mimmo Paladino, a Lampedusa. Foto di Ron Dauphin
Farmworkers pick strawberries at Lewis Taylor Farms, which is co-owned by William L. Brim and Edward Walker who have large scale cotton, peanut, vegetable and greenhouse operations in Fort Valley, GA, on May 7, 2019.
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Mr. Brim talks about the immigration and disaster relief challenges following Hurricane Michael. USDA helped this farm with the Farm Service Agency (FSA) Emergency Conservation Program (ECP) for structural damage cleanup. He also mentions the importance of having Secretary Sonny Perdue, a person with agricultural background, come visit and listen to 75 producers six months ago, in southern Georgia.
The farm’s operation includes bell peppers, cucumbers, eggplant, squash, strawberries, tomatoes, cantaloupe, watermelon and a variety of specialty peppers on 6,500 acres; and cotton and peanuts on 1,000 acres. Near the greenhouses is a circular crop of long-leaf pines seedlings under a pivot irrigation system equipped with micro sprinklers. Long-leaf pines are an indigenous tree in the Southeast. Growers are working to increase the number of this slower growing hearty hardwood tree in this region.
USDA Photo by Lance Cheung. Original public domain image from Flickr